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Una patologia così complessa richiede un robusto modello organizzativo, per assicurare ai malati la continuità delle cure e un’assistenza di qualità 

Certe malattie rare non trovano ancora una cura definitiva, come dimostra il caso della distrofia muscolare di Duchenne (DMD), patologia legata al cromosoma X e provocata da mutazioni recessive nel gene che codifica per la distrofina. Questa proteina ricopre un ruolo determinante per la funzionalità delle fibre muscolari e in sua assenza, pertanto, subentrano seri problemi al tessuto muscolare che impattano fortemente sulla qualità e sulla durata di vita delle persone affette dalla patologia. Fino a qualche anno fa le complicanze cardio-respiratorie collegate alla DMD provocavano la morte dei pazienti già prima dei 18 anni ma, negli ultimi tempi, il miglioramento dei percorsi terapeutici e assistenziali ha allungato l’aspettativa di vita, portandola a più di 30 anni.

Quella che a tutti gli effetti è una buona notizia solleva, però, una problematica riguardante non solo la DMD, ma anche molte altre patologie, neuromuscolari e non, interessate dal tema della transizione dei pazienti dall’età pediatrica a quella adulta. Come fanno notare i ricercatori del Centro per le Malattie Rare dell’Università di Danzica (Polonia) in un articolo apparso sulle pagine della rivista Medicina, sono molto scarse le pubblicazioni dedicate a questo argomento, che richiede, invece, un’attenzione molto particolare.

Gli individui affetti da distrofia muscolare di Duchenne soffrono principalmente di disturbi gravanti sul sistema muscolare e scheletrico (la progressiva debolezza è la cifra di riferimento della malattia), richiedendo così un percorso di riabilitazione ben definito (preservare il più lungo possibile una buona funzionalità degli arti superiori è decisivo per coloro che hanno già perso la capacità di deambulare in autonomia). Tuttavia, non sono pochi i pazienti quelli che sviluppano problematiche di tipo respiratorio (in alcuni casi si rende necessario il ricorso alla ventilazione non invasiva o alla tracheotomia), cardiologico (l’insufficienza cardiaca interessa più dell’80% delle persone con DMD di età superiore a 18 anni ed è responsabile di oltre il 40% dei decessi), gastrointestinale (il rischio di malnutrizione può portare all’impiego della PEG), endocrinologico, neurologico e ortopedico. In buona sostanza, la presa in carico della persona affetta da DMD coinvolge una pletora di figure mediche, dal pediatra agli specialisti di neurologia, pneumologia, cardiologia, nefrologia e riabilitazione fisica, per non parlare dei terapisti della nutrizione e del linguaggio, degli psicologi e anche dei medici di medicina generale.

Fino a che i malati sono nella fascia d’età infantile la figura di riferimento è il pediatra, che ha il compito di raccordarsi con gli altri specialisti delle branche mediche interessate, ma nel momento in cui si rende necessario il passaggio ai servizi dell’età adulta subentrano forti difficoltà e potenziali lacune. Ecco perché la fase di “transizione” va accuratamente programmata, identificando, in primo luogo, gli specialisti di riferimento coinvolti, i quali hanno il compito di predisporre questo momento di cambiamento e il successivo percorso del paziente (può essere utile programmare delle visite congiunte tra i clinici pediatrici e quelli della fase adulta, così da agevolare il passaggio di ruoli). In particolare, si rende necessaria una figura unica (si parla di “transition coordinator”) a cui i vari specialisti possano riferirsi e che abbia la responsabilità di fissare le tappe e facilitare il trasferimento delle competenze. La pianificazione di un percorso tanto articolato come quello che riguarda la DMD esige di stilare un piano di transizione scritto, che riporti in maniera dettagliata e metodica tutti gli attori coinvolti e che sia condivisibile con il paziente e la sua famiglia.

Infatti, in età pediatrica la gestione della distrofia muscolare di Duchenne ha una dimensione molto più ‘famigliare’ rispetto a quanto accade in età adulta, dove il perno del processo è il paziente stesso. Pertanto, il coinvolgimento della famiglia appare indispensabile per il corretto svolgimento della fase di transizione. Inoltre, è necessario tenere come riferimento le eventuali linee guida già disponibili per la gestione dei pazienti in età adulta. Nel caso della DMD, le problematiche potenzialmente più gravi che i pazienti dovranno affrontare in fase di crescita sono la progressiva perdita dell’autonomia e della capacità di movimento. Inoltre, possono spesso subentrare problemi gastrointestinali ed eventuali infezioni delle vie respiratorie, le cui conseguenze hanno un impatto deleterio sulla qualità di vita dei malati.

Un’ordinata e razionale gestione della fase di transizione ha proprio lo scopo di preservare la qualità di vita dei pazienti, facendo in modo che non si creino interruzioni nel loro percorso di cura, un aspetto non trascurabile dal momento che la qualità assistenziale, in attesa di una terapia specifica ed efficace, rimane al primo posto. Affinché questo delicato processo si realizzi al meglio serve un approccio multidisciplinare e, soprattutto, sono necessarie le competenze degli specialisti dei centri di riferimento per la patologia presenti sul territorio: da loro deve obbligatoriamente partire il coordinamento della transizione del paziente da età pediatrica ad adulta, soprattutto per malattie rare, complesse e degenerative come la DMD.

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