Il piccolo Simone insieme ai suoi genitori

Il bambino potrebbe essere il primo paziente italiano ad essere sottoposto a questo nuovo trattamento, in grado di modificare il decorso della sua patologia: ora manca solo l’autorizzazione di AIFA

Simone ha 2 anni e 7 mesi e vive a Catania con mamma Sabrina e papà Sebastiano. Dalle foto in cui appare disteso e sorridente non si direbbe, ma il piccolo è in fervente attesa di una cura. Simone, infatti, è il più giovane bambino italiano affetto da una rara patologia dal nome quasi impronunciabile, il deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici (deficit di AADC), che gli causa ipotonia, atassia, crisi oculogire, scarsa capacità attentiva e frequenti momenti di irritabilità e pianto. Fino a pochi anni fa la prognosi per i bambini nati con questo deficit era incerta e i piccoli pazienti potevano usufruire solo di un trattamento farmacologico sintomatico, a volte con scarsi risultati. Oggi, però, la terapia genica eladocagene exuparvovec è una realtà e rappresenta, contemporaneamente, una sfida e una speranza per tutti i clinici che si occupano di malattie neurometaboliche rare e per i loro giovani pazienti: alla fine di luglio, il farmaco è stato ufficialmente approvato in Europa e ora, in Italia, i pazienti attendono che il suo impiego sia autorizzato anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

La malattia

Dietro un nome difficile come “deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici” si nasconde una patologia altrettanto complessa, causata da mutazioni a danno del gene DDC, il quale codifica per l’enzima AADC. “Senza questo enzima l’organismo non è in grado di sintetizzare i neurotrasmettitori dopamina e serotonina, a partire dai rispettivi precursori”, spiega Roberta Battini, Professore Associato di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Pisa e responsabile dell’Unità Dipartimentale di Clinica dei disturbi neurologici e delle malattie genetiche rare in età evolutiva dell’IRCCS Fondazione Stella Maris di Pisa, dove è in cura il piccolo Simone. “L’inadeguata sintesi di questi neuromediatori comporta un’importante alterazione della connettività cerebrale - continua la professoressa Battini - determinando l’insorgenza di una serie di sintomi neurologici e non, come disturbi del movimento (distonia, ipocinesia, ipotonia o atassia), disabilità intellettiva, crisi oculogire, disturbi del respiro, congestione nasale, reflusso gastroesofageo, ipoglicemia, irritabilità e pianto frequenti”.

La presa in carico dei piccoli pazienti è multidisciplinare e, oltre alle sedute di fisioterapia e psicomotricità, vengono normalmente prescritti alcuni farmaci per via orale, volti a contrastare i sintomi e a prevenire le complicanze ortopediche e cardiache. “Simone, ogni giorno, prende sei diversi farmaci e integratori”, racconta il papà. “Da quando abbiamo finalmente ricevuto la diagnosi, mio figlio ha iniziato la terapia e abbiamo notato alcuni piccoli miglioramenti, ma Simone non cammina ancora e non è in grado di mantenere la testa in posizione eretta per tempi prolungati. Inoltre, con il passare dei mesi, i sintomi più gravi tipici della malattia, come le deviazioni degli occhi (crisi oculogire) e i momenti di incantamento e ridotta attenzione, si sono fatti via via più frequenti e intensi e si sono aggiunti alla già presente ipotonia”.

Aspettiamo con ansia l’approvazione della terapia genica da parte dell’AIFA, per poter dare a nostro figlio un futuro più dignitoso”, continua Sebastiano. “Pensiamo costantemente al suo futuro”, gli fa eco mamma Sabrina. “Sappiamo che non potrà recuperare al cento per cento, ma siamo fiduciosi che possa raggiungere una maggiore autosufficienza. Simone ha diritto a una vita migliore”.

La storia di Simone

Nel caso di Simone, la debolezza muscolare e l’incapacità di tenere il capo eretto sono stati i primi campanelli d’allarme della malattia”, racconta papà Sebastiano. “A sei mesi, durante uno dei classici controlli dalla pediatra (i cosiddetti bilanci di salute), ci siamo accorti che qualcosa non andava: Simone non reggeva la testa, la sua muscolatura era debole, teneva le braccia spalancate e i pugnetti chiusi”.

Il nostro iter diagnostico è cominciato con due settimane di ricovero presso l’Ospedale San Marco di Catania, durante il quale mio figlio è stato sottoposto ai classici controlli: risonanza magnetica, elettroencefalogramma, screening per le malattie metaboliche. Era l’agosto del 2020 e Simone aveva poco più di sei mesi”, ricorda il papà. “Anche i medici del San Marco individuarono diverse anomalie nello sviluppo neuromotorio ma all’inizio non furono attribuite a nessuna patologia sottostante. L’elettroencefalogramma, ad esempio, appariva ‘rallentato’, ci dissero i dottori, come se l’attività elettrica cerebrale rilevata fosse stata quella di un neonato di tre mesi”.

“Grazie al consiglio di una neuropsichiatra che seguiva mio figlio qui ad Acireale, a gennaio 2021 siamo finalmente arrivati all’IRCCS Stella Maris”, racconta Sebastiano. “Ci siamo affidati alla dottoressa Battini e in poco più di una settimana abbiamo scoperto il nome della malattia di Simone: il deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici. In quell’occasione i medici si sono accorti anche di una lussazione dell’anca. Non abbiamo ancora capito se questa problematica sia collegata alla patologia, probabilmente no, ma a causa di questa lussazione Simone ha già dovuto affrontare due operazioni, presso l’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova”.

Tra le visite per l’anca e i controlli all’IRCCS Stella Maris ho perso il conto dei viaggi rocamboleschi che abbiamo intrapreso”, scherza Sebastiano. “Partivamo da Catania con la macchina e prendevamo il traghetto a Palermo”, racconta. “A quel punto ci attendevano 20 ore di navigazione se eravamo diretti a Genova e 19 se ci fermavamo a Livorno: una vera e propria odissea. Era snervante già solo il pensiero di dover partire, di dover aspettare sul molo, soprattutto d’inverno, quando il traghetto partiva a mezzanotte”. E ora Simone e la sua famiglia sono di nuovo in attesa, pronti per un nuovo viaggio, direzione terapia genica.

La terapia genica

Eladocagene exuparvovec è una terapia genica recentemente approvata per il deficit di AADC. Si tratta di un farmaco a base di un virus adeno-associato ricombinante sierotipo 2 (AAV2) modificato per trasportare una versione funzionante del gene DDC umano, che contiene le istruzioni per la produzione dell’enzima AADC. “Si tratta di una terapia genica in vivo”, spiega la professoressa Battini. “Viene somministrata in un’unica infusione (one shot) direttamente nel cervello, attraverso un intervento stereotassico in narcosi effettuato da neurochirurghi con esperienza in tale tecnica, già utilizzata per altri disturbi neurologici sia in pediatria che in età adulta”. Questa iniezione intracerebrale, effettuata nel putamen, consente alle cellule di quest’area del cervello di acquisire la capacità di sintetizzare la dopamina, la quale si sostituisce a quella normalmente fornita dai neuroni dopaminergici del sistema nigrostriatale.

Da un recente studio condotto dai ricercatori della National University di Taiwan, l’esito del trattamento si è rivelato molto positivo, con benefici che sembrano riguardare non solo la funzione motoria ma anche quella cognitiva, generando un complessivo miglioramento clinico. Da questo studio, inoltre, è emerso che la terapia genica è in grado di mantenere i suoi effetti nel tempo e i benefici continuano a essere osservati anche a più di cinque anni di distanza dall’infusione.

“I criteri di inclusione per la terapia al momento noti - continua la prof.ssa Battini - sembrano riguardare l'età del paziente, che dev’essere superiore ai 18-24 mesi, e l'acquisizione o meno di alcune tappe dello sviluppo, come il mantenimento del capo, la capacità di postura seduta autonoma e la deambulazione per un certo numero di metri, ma andranno meglio valutati nel momento in cui anche in Italia sarà disponibile il farmaco”.

Da anni collaboriamo con Vincenzo Leuzzi, Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università Sapienza di Roma e responsabile dell’UOC di Neuropsichiatria Infantile presso il Policlinico Umberto I, dove è stato allestito il Centro Specialistico per la terapia genica del deficit di AADC”, spiega ancora la prof.ssa Roberta Battini. “Con il contributo del gruppo del prof. Leuzzi abbiamo valutato il piccolo Simone come candidato idoneo alla terapia e speriamo di poter al più presto beneficiare del farmaco”. Dato che il percorso di approvazione di eladocagene exuparvovec in Italia richiederà del tempo, lo stesso prof. Leuzzi ha presentato all’AIFA una richiesta ufficiale affinché al bambino sia consentito un accesso anticipato alla terapia sulla base quanto previsto dalla Legge 326/2003: per ora, quindi, al piccolo Simone e ai suoi genitori non resta che attendere il responso dell’Agenzia Italiana del Farmaco.

L’importanza dello screening neonatale

Vista l’efficacia dimostrata dalla terapia genica eladocagene exuparvovec, soprattutto nei pazienti più piccoli, appare evidente l’importanza di una diagnosi di malattia che sia quanto più possibile precoce. “Grazie a un biomarcatore periferico che risulta incrementato nel deficit di AADC, la 3-O-metildopa (3-OMD), è oggi possibile individuare agevolmente questa patologia”, afferma la professoressa Battini. “Si tratta di un test a basso costo effettuato su carta bibula, speciale carta assorbente che viene già normalmente utilizzata per gli screening neonatali. Basterebbe inserire questo test nel panel dello screening neonatale in Italia per identificare, immediatamente dopo la nascita, i bambini affetti da deficit di AADC. Il test, unito alla prospettiva della terapia genica, donerebbe a questi piccoli pazienti, pur nella loro rarità, cure precoci che potrebbero garantire loro uno sviluppo più vicino possibile a quello tipico, il tutto con una singola iniezione di farmaco, evitando i danni al sistema nervoso centrale e periferico derivanti dalla patologia”.

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