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Negli Stati Uniti è previsto lo screening neonatale per la patologia: spesso però, in caso di esito positivo, gli operatori sanitari non sanno fornire sufficienti informazioni ai genitori

Turlock (USA) – Sentirsi dire che il proprio figlio è malato è sempre uno shock, ancora di più se si tratta di una patologia rara, e spesso, purtroppo, chi comunica la notizia ai genitori non è adeguatamente preparato a rispondere ai loro tanti dubbi e non riesce a rassicurarli. Ad evidenziare queste difficoltà è un team di medici californiani, che ha intervistato le madri di dieci bambini (sei maschi e quattro femmine) affetti da adrenoleucodistrofia legata all'X (ALD).

Questa malattia genetica degenerativa, che colpisce il sistema nervoso e alcune ghiandole endocrine, è causata da mutazioni nel gene ABCD1, e il suo spettro clinico è molto eterogeneo. I maschi presentano sintomi che vanno dall'insufficienza surrenalica isolata con mielopatia lentamente progressiva fino alla grave demielinizzazione cerebrale. Le femmine eterozigoti, invece, manifestano in genere sintomi più lievi nella tarda età adulta. Per il trattamento dell'insufficienza surrenalica è possibile somministrare il cortisolo, mentre l'ALD cerebrale può essere trattata con il trapianto di cellule staminali; per la mielopatia, invece, ad oggi non esiste un trattamento.

Dal 2013, quattordici Stati americani hanno aggiunto l'ALD al loro pannello di screening neonatale, compresa la California nel 2016, e anche in Italia, l'anno scorso, è stata presentata un'interrogazione parlamentare che va in questa direzione. I ricercatori statunitensi, attraverso le interviste, hanno voluto esaminare l'impatto che ha avuto il risultato di screening neonatale positivo per l'adrenoleucodistrofia su dieci famiglie. Tutte le madri erano fermamente convinte che l'ALD dovesse essere inclusa nel pannello di screening in California, sia per i maschi che per le femmine; tuttavia, molte hanno espresso preoccupazione alla luce dell'esperienza da loro vissuta.

Tutte le famiglie hanno conosciuto il risultato dello screening al telefono: in tre casi a comunicare la notizia è stato un genetista, in cinque casi un pediatra, in un caso un'infermiera e nell'ultimo caso i genitori non erano sicuri del ruolo ricoperto dalla persona che ha trasmesso l'esito. Solo una famiglia era a conoscenza dell'ALD, perché un parente aveva già ricevuto la stessa diagnosi e i genitori erano quindi preparati a una simile notizia, mentre le restanti nove non avevano alcuna conoscenza della condizione. Sette madri hanno riferito una mancanza di preparazione sull'ALD da parte dell'operatore sanitario che le ha informate sui risultati del test.

Dopo aver appreso la notizia della malattia del figlio, e date le informazioni limitate fornite al telefono, otto madri su dieci hanno riferito di aver chiuso la telefonata con sentimenti di “shock”, “paura”, “ansia” e “confusione”. Sempre l'80% di loro, subito dopo ha fatto una ricerca su Internet riguardo alla malattia, la quale ha prodotto informazioni estremamente allarmanti, che hanno catapultato le famiglie in un ulteriore sconforto. Altri temi emersi nel corso delle interviste sono stati la difficoltà di convivere con l'incertezza, le preoccupazioni riguardo al supporto psicologico e il desiderio di avere maggiori informazioni sulla progressione della malattia, sui trattamenti e sugli studi clinici.

Per affrontare la malattia del proprio figlio, le madri hanno elaborato diverse strategie, tra cui affidarsi alla fede, cercare informazioni e mantenere la speranza. Il sondaggio chiedeva loro, infine, di dare dei consigli sia agli operatori sanitari che agli altri genitori con figli affetti da ALD. Le principali raccomandazioni dirette ai primi sono state: istruire il personale a effettuare la telefonata iniziale, fornire delle risorse a misura di paziente, offrire informazioni sugli studi in corso e semplificare il coordinamento delle cure. I consigli per i genitori si sono concentrati invece sulla speranza e sull'apprezzare il tempo che potranno trascorrere con i loro figli.

I risultati di questo sondaggio, pubblicati sulla rivista International Journal of Neonatal Screening, contribuiscono ad arricchire la scarsa letteratura sullo screening neonatale per l'ALD e potranno essere utilizzati in futuro da operatori sanitari e politici per personalizzare il supporto, la consulenza e le esigenze cliniche di questi pazienti e delle loro famiglie, in un momento in cui sempre più Stati stanno aggiungendo questa condizione al proprio pannello di screening neonatale. Secondo un recente studio, infatti, testare questa malattia è risultato, oltre che utile, anche sostenibile dal punto di vista economico.

“I nostri risultati suggeriscono che la telefonata iniziale, che rivela ai genitori l'esito positivo del test, ha avuto un forte impatto sulle loro reazioni emotive e sulla comprensione di cosa comporti la malattia”, hanno spiegato i ricercatori californiani. “Pertanto, la raccomandazione più comune è stata quella di istruire gli operatori sanitari sull'adrenoleucodistrofia prima di rivelare il risultato dello screening neonatale. Le successive visite con gli specialisti, in particolare con i neurologi, hanno fornito in seguito una certa chiarezza sulla diagnosi”, hanno proseguito gli autori del lavoro. “Grande enfasi è stata riservata alla necessità di fornire un supporto psicologico a tutti i membri della famiglia: pertanto questo aiuto deve essere considerato come una parte essenziale delle cure di follow-up per l'ALD, in particolare quando lo screening a cascata viene esteso a genitori, fratelli e parenti lontani, per i quali la notizia potrebbe avere gravi conseguenze emotive e cliniche”.

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