Sebbene sia stato bandito in Italia nel 1992, l'amianto continua a mietere vittime, e non solo fra la popolazione direttamente esposta alla contaminazione. Della questione si è parlato durante la terza giornata della Conferenza Internazionale di Epidemiologia Ambientale (ISEE), giunta alla sua 28° edizione. Dal 1993 al 2011, non solo abbiamo sempre più casi di mesotelioma, ma addirittura il 10,5% di questi ha riguardato i cosiddetti 'non occupational cases', cioè i familiari dei lavoratori e le persone sottoposte a contaminazione da amianto prolungata e accidentale. Questi dati non devono stupire, dal momento che, prima del 1992, l'Italia era il secondo Paese in Europa fra i produttori di amianto.
I dati riportati dall'Istituto Superiore di Sanità, sulla base del National Mortality Database, sono agghiaccianti. Il numero di casi a livello nazionale, nel periodo 2010-2012, è stato rispettivamente di 2,8 casi per 100.000 persone per gli uomini, e meno della metà (1,1 casi per 100.000 persone) per le donne. Una differenza rilevante, ma facilmente comprensibile se pensiamo che la maggior parte delle esposizioni avviene sul luogo di lavoro, prevalentemente maschile. Le regioni più colpite sono Lombardia ed Emilia Romagna.
Di particolare interesse è il resoconto sulle esposizioni nel sito di Biancavilla, un luogo contaminato da fibre naturali fluoro-edenite, e nelle località di Bari e Sarnico, dove l'amianto veniva lavorato in stabilimenti industriali.
L'impatto dell'amianto sulla salute pubblica, sia per quanto riguarda l'esposizione professionale che ambientale, resta sensibile anche dopo più di 20 anni dal divieto nazionale di utilizzo del materiale. Per questo motivo - riportano gli esperti – sono più che mai necessarie indagini approfondite sulla mortalità per mesotelioma, come utile strumento per monitorare l'andamento delle aree a rischio già note, e, soprattutto, per rilevare fonti di esposizione precedentemente sconosciute.
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