Uno gruppo di ricerca italiano ha confrontato i dati di 29 studi clinici, rilevando un beneficio maggiore in pazienti giovani con malattia ai primi stadi
Identificare l’optimum terapeutico per un tumore raro come il carcinoma a cellule di Merkel non è semplice, ma oggi, grazie al lavoro di un gruppo di studio lombardo, il ruolo della radioterapia adiuvante potrà essere considerato sotto una nuova prospettiva. Quando un tumore è raro, infatti, risulta difficoltoso condurre studi clinici prospettici su nuove possibilità di diagnosi o di cura, perché i numeri, spesso, non sono rappresentativi e i risultati rischiano di essere fuorvianti; per non parlare, poi, dei tempi d’indagine, che si dilatano a dismisura. Tuttavia, l’opera di raffronto svolta dai ricercatori di Casa di Cura Igea di Milano, in collaborazione con l’IRCCS istituto Nazionale Tumori di Milano e con le Aziende Socio Sanitarie Territoriali di Bergamo Ovest e Cremona, ha permesso di rivedere in maniera critica gli esiti di una selezione di trial clinici nei quali era riportato l’impatto della radioterapia adiuvante nei pazienti affetti da carcinoma a cellule di Merkel.
La popolazione osservata è costituita da circa 17.000 pazienti distribuiti su 29 studi clinici, e le analisi dei dati relativi alla sopravvivenza globale hanno messo in luce un miglioramento nel gruppo di pazienti trattato con radioterapia adiuvante rispetto al gruppo non trattato. Le linee guida relative al carcinoma a cellule di Merkel indicano nella chirurgia il gold standard terapeutico, specialmente quando la neoplasia è localizzata e non sono presenti metastasi linfonodali o a distanza; tuttavia, il rischio di recidiva per questo raro tumore rimane elevato. Per quanto riguarda la malattia localmente avanzata, se l’opzione chirurgica non è perseguibile subentra il trattamento radioterapico, anche se i dati di letteratura a disposizione per confermarne l’efficacia rimangono piuttosto limitati.
L’articolo apparso sulla rivista Radiotherapy and Oncology firmato dai ricercatori lombardi nasce proprio per supportare le evidenze sul ricorso alla radioterapia e, dal momento che esistono pochi studi clinici a riguardo, con casistiche generalmente esigue, essi hanno operato un confronto a tappeto tra una serie di lavori che avessero un protocollo operativo sovrapponibile, includendo pazienti con caratteristiche simili.
Il primo dato emerso da questo lavoro è una significativa differenza, in termini di sopravvivenza globale, a favore dei pazienti irradiati - dopo intervento chirurgico - rispetto a quelli non sottoposti a tale trattamento. In particolare, il maggior benefico sembra riguardare pazienti di più giovane età, con un carcinoma a cellule di Merkel in stadio I-II sulla scala di Newcastle-Ottawa e di dimensioni non superiori ai 2 cm. Naturalmente, gli autori sottolineano che il dibattito sull’uso della radioterapia adiuvante rimane aperto e, con esso, la necessità di proseguire gli studi per identificare con maggiore accuratezza gli individui in cui la radioterapia apporti un beneficio significativo. Non è ancora chiaro, infatti, se essa possa ridurre o meno il rischio di recidiva che interessa molti pazienti.
Il carcinoma a cellule di Merkel colpisce prevalentemente pazienti anziani e individui immunodepressi (negli ultimi anni è stata identificata una correlazione tra questo raro tumore neuroendocrino e l’infezione da polyomavirus): in questi ultimi, la sopravvivenza sembra ridotta rispetto agli individui immunocompetenti. Considerato l’elevato tasso di coinvolgimento linfonodale è sempre opportuno il ricorso a una valutazione dei linfonodi e ad una resezione chirurgica, laddove sia possibile. È a questo punto che subentra il dibattito sull’utilizzo di terapie adiuvanti (sia chemio- che radioterapia) che sta interessando un numero sempre più vasto di oncologi e radioterapisti. Tuttavia, la scarsità di dati a riguardo contrasta con la cocente necessità di intervenire per limitare il rischio di recidive locali. Per questa ragione, lo studio italiano può offrire un punto di vista importante su cui riflettere, sempre tenendo in considerazione che la presa in carico del paziente deve avvenire in un contesto multidisciplinare che coinvolga, oltre all’oncologo e al radioterapista, anche il chirurgo e, in fase diagnostica, il dermatologo.
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