La mancanza di una terapia anti-retrovirale efficace contro il virus complica la già difficile gestione terapeutica di questo tumore.
Fortunatamente, contro la malattia metastatica è disponibile una nuova arma, l'anticorpo monoclonale avelumab

Se negli ambienti della politica internazionale Merkel è un nome ampiamente conosciuto, lo stesso non si può dire nell’universo medico, dove il carcinoma a cellule di Merkel è una rara e aggressiva forma tumorale della quale, purtroppo, si sa ancora troppo poco o si ignorano alcune informazioni. Nonostante sia considerato un tumore raro, secondo recenti studi epidemiologici, l’incidenza del carcinoma a cellule di Merkel risulta in netta crescita e il fatto che, in molti casi, si presenti in forma metastatica o ad alto rischio di progressione, contribuisce a renderne la prognosi decisamente infausta.

I fattori di rischio più comunemente riconducibili a questo tumore neuroendocrino sono l’età avanzata, l’immunosoppressione, un aumentato carico di mutazioni indotte da raggi ultravioletti (UV) e, soprattutto, l’infezione da Poliomavirus, un virus della famiglia Polyomaviridae ritenuto capace di dare avvio al processo di genesi tumorale. “L’80% dei malati di carcinoma a cellule di Merkel risulta positivo al Poliomavirus”, afferma il dott. Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. “Questo virus viene considerato uno degli elementi di rischio, analogamente all’esposizione ai raggi ultravioletti. Sono tutt’ora in corso indagini di approfondimento per ulteriori precisazioni sull’argomento, anche se si ipotizza la presenza di varianti virali non espressive che impediscono la replicazione del virus, il quale rimane latente all’interno dell’organismo ospite”. Infatti, nel momento in cui la cellula di Merkel diviene una cellula neoplastica il virus è già entrato nel suo genoma e ne ha avviato la trasformazione maligna.

“L’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha inserito il Poliomavirus in classe 2A, confermando che per ora esiste il sospetto di una relazione causale con il carcinoma a cellule di Merkel ma non la certezza”, conferma Pregliasco, che ribadisce come questo esempio sottolinei ulteriormente l’importanza dei virus nell’eziopatogenesi – o, perlomeno, nella facilitazione – di alcuni tumori e di certe malattie, un po’ come accade con il virus dell’epatite B per l’epatocarcinoma o il Papillomavirus per il tumore del collo dell’utero. Il Poliomavirus si diffonde per contatto diretto tra le persone e, anche se non determina l’insorgenza di altre patologie, sembra costituire una delle cause predisponenti il processo di cancerogenesi del carcinoma a cellule di Merkel. Il principale problema è che non esiste una terapia anti-retrovirale realmente efficace contro il virus il quale contribuisce a rendere inefficace ogni tipo di trattamento del tumore aumentandone l’aggressività.

A questo livello le cose si complicano ancora di più perché, ad oggi, non esiste una terapia realmente efficace contro il carcinoma a cellule di Merkel. “La chirurgia è il 'gold standard' per questo tumore”, chiarisce il dott. Fernando Cirillo, responsabile del Polo Tumori Rari presso il Dipartimento di Chirurgia dell'Azienda Ospedaliera di Cremona ASST. “La chirurgia rimane fondamentale nell’asportazione, nella radicalizzazione, nella ricerca del linfonodo sentinella e nello svuotamento della regione linfatica interessata quando necessario. Successivamente, la radioterapia sulla sede del tumore primitivo e sulle stazioni linfatiche interessate può ridurre la percentuale di recidiva locale e a distanza”. Sul fronte della chemioterapia, non è stato ancora individuato un regime terapeutico tale da controllare la malattia metastatica in termini definitivi; l’unico regime di trattamento che abbia prodotto considerevoli risposte obiettive è costituito dalla associazione platino ed etoposide, ma ad esso non è stato associato alcun beneficio in termini di durata della risposta o sopravvivenza del paziente.

La lampante necessità di individuare fonti di trattamento alternative si è tradotta in filoni di ricerca innovativi, come quello sugli inibitori del checkpoint immune. Nello specifico, essi sono rappresentati da anticorpi monoclonali anti-PD-1 o anti-PD-L1 che nei vari protocolli di ricerca in cui sono stati testati hanno prodotto risposte di sicuro interesse. PD-1 è un recettore espresso dai linfociti in diversi tipi di neoplasie e PD-L1 è il suo principale ligando, iper-espresso nei tumori del polmone non a piccole cellule del colon retto, nei melanomi, nei carcinomi del rene, dell’esofago, del tratto gastro-intestinale, dell’ovaio e nel tumore della mammella. In un recente studio apparso sulla rivista Journal for ImmunoTherapy of Cancer sono stati descritti i dati di efficacia di avelumab, un anticorpo monoclonale diretto contro PD-L1, recentemente approvato dalla Commissione Europea e dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento di prima linea dei carcinomi a cellule di Merkel metastatici. I dati presentati nell’articolo si rifanno ai pazienti dello studio di Fase II JAVELIN Merkel 200 con più di un anno di follow-up, e dimostrano come il 21.6% dei pazienti risulti ancora in trattamento ad un anno dall’inizio della terapia: di questi, l’11,4% ha ottenuto una risposta completa (CR) e il 21,6% una risposta parziale (PR), producendo un tasso di risposta obiettivo (ORR) del 33.0%. Inoltre, al momento dell’analisi dei dati, il 72,4% dei pazienti in studio è riuscito a mantenere la risposta. Si tratta di risultati di grande interesse per la comunità medica che auspica presto l’avvio di uno studio di Fase III per un trattamento immunoterapico che potrebbe riscrivere presto le Linee Guida per la terapia del carcinoma a cellule di Merkel.

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