Prof. Luca RicheldiIl prof. Luca Richeldi (Policlinico Gemelli di Roma): “In meno di dieci anni, la comprensione della patogenesi e la gestione di questa malattia si sono radicalmente trasformate, e due terapie che modificano in modo significativo il decorso della patologia hanno ricevuto l’approvazione delle autorità competenti a livello mondiale”

Roma – Numerosi e di notevole importanza sono i progressi compiuti, nel corso degli ultimi anni, dalla ricerca scientifica e farmaceutica nel campo della fibrosi polmonare idiopatica, una malattia rara che, essendo caratterizzata dallo sviluppo irreversibile di tessuto fibroso nei polmoni, è causa di una progressiva insufficienza respiratoria. A fare il punto su questi recenti traguardi è il Prof. Luca Richeldi, nuovo pneumologo dell’Università Cattolica-Fondazione Policlinico Agostino Gemelli di Roma, in un 'Seminar' che è stato pubblicato il mese scorso dalla prestigiosa rivista The Lancet.

Da marzo di quest'anno, il Prof. Luca Richeldi è Ordinario di Malattie dell'Apparato Respiratorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pneumologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, uno dei centri di riferimento nazionali per la cura della fibrosi polmonare idiopatica (IPF), con circa 100 pazienti che sono attualmente in carico presso la struttura e seguiti da una équipe multidisciplinare di esperti. Il Prof. Richeldi è approdato a Roma dopo una brillante parentesi all’estero della propria carriera: dal 2013 al 2017 ha ricoperto l’incarico di Professor of Respiratory Medicine (Chair of Interstitial Lung Disease) presso la University of Southampton (Regno Unito) e, nello stesso periodo, quello di Honorary Consultant Physician presso il Southampton General Hospital NHS Trust. Richeldi è uno degli autori delle linee guida internazionali sulla diagnosi e la gestione clinica della IPF, pubblicate nel 2011 sull'American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine.

Nel suo articolo di approfondimento sulla IPF, il Prof. Richeldi, insieme ai colleghi Harold Collard (Department of Medicine - University of California, San Francisco - USA) e Mark Jones (National Institute for Health Research Southampton Respiratory Biomedical Research Unit and Clinical and Experimental Sciences - University of Southampton - Regno Unito), fornisce un ampio e dettagliato resoconto dei recenti avanzamenti compiuti nella conoscenza di questa patologia, concentrandosi, in modo specifico, sulle nuove opzioni diagnostiche e terapeutiche a disposizione dei pazienti.
La rivista The Lancet pubblica regolarmente articoli definiti 'Seminar', che hanno lo scopo di fare il punto sulle novità medico-scientifiche relative a malattie particolarmente importati. Il precedente Seminar sulla fibrosi polmonare idiopatica è stato scritto da autori americani nel 2011, e l’articolo del Prof. Richeldi ne rappresenta l’aggiornamento. Le ragioni per cui The Lancet ha deciso di pubblicarlo sono, da un lato, i risultati ottenuti con i nuovi farmaci per l'IPF, dall’altro, la crescente rilevanza clinica della patologia.

La fibrosi polmonare idiopatica è una malattia rara la cui causa resta tuttora sconosciuta (per questo viene definita 'idiopatica'). L'esistenza di forme familiari di IPF suggerisce che, almeno in una parte dei casi, nello sviluppo della patologia siano coinvolti fattori genetici. La condizione è caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di 'fibroblasti' e dall'accumulo di 'matrice extracellulare' (tessuto fibroso esterno alle cellule) in corrispondenza dei polmoni, processi che, alterando irreversibilmente l'architettura dell'organo, causano una riduzione degli scambi gassosi e un'insufficienza respiratoria progressiva. L’IPF colpisce prevalentemente gli uomini dopo i 60 anni di età.

Secondo i dati di un recente studio italiano, la prevalenza della malattia è di circa 30-40 casi ogni 100.000 persone. Ciò significa che nel nostro Paese si stima siano presenti almeno 15.000 malati di IPF, con oltre 5.000 nuovi casi all'anno. Allo stesso tempo, un'indagine epidemiologica inglese ha evidenziato un aumento di incidenza della patologia da circa 8 nuovi casi ogni 100mila persone, nel 2004, ad oltre 12 nuovi casi nel 2012. “Attualmente vediamo più casi di questa malattia”, spiega il Professor Richeldi. “Probabilmente perché oggi la patologia è meglio conosciuta e sono disponibili linee guida per la diagnosi. Non è possibile, però, escludere che la patologia sia effettivamente in aumento, per l’invecchiamento della popolazione e, forse, per l’aumento di esposizioni ambientali potenzialmente coinvolte nella patogenesi della malattia”.

La storia naturale dell’IPF è caratterizzata da una progressione inesorabile e da una sopravvivenza media che è compresa tra 3 e 5 anni dal momento della diagnosi. Purtroppo, a sopravvivere per 5 anni dopo la diagnosi è soltanto il 30% circa dei pazienti, una prognosi peggiore della maggior parte delle patologie oncologiche. Per la fibrosi polmonare idiopatica non è tuttora disponibile una cura, ma grazie agli attuali trattamenti si stima che sia possibile ridurre di circa la metà la progressione della malattia.

Due sono i farmaci per l'IPF approvati, nel corso degli ultimi anni, dalle principali agenzie mondiali di regolamentazione: si tratta del pirfenidone (Esbriet) e di nintedanib (Ofev), disponibili in Italia, rispettivamente, dal 2013 e dal 2016.
Il pirfenidone si assume per bocca 3 volte al giorno. E' un farmaco pleiotropico con molteplici effetti sulla produzione e la deposizione di collagene, e ha dimostrato, in studi clinici di Fase II e III, di ridurre la progressione della malattia (misurata come capacità polmonare) di circa il 50% nel corso di un anno di trattamento. I principali effetti collaterali sono nausea e fotosensibilizzazione a livello cutaneo.
Il nintedanib è un inibitore delle tirosin-chinasi ed è somministrato per via orale 2 volte al giorno. Agisce a livello di specifiche molecole coinvolte nella genesi e il mantenimento della fibrosi. In studi clinici di Fase II e III ha dimostrato di rallentare la perdita di funzione polmonare, riducendola di circa il 50% nel corso di un anno di trattamento. Il principale effetto collaterale è rappresentato dalla diarrea.

Il Prof. Richeldi sottolinea come i benefici di queste nuove terapie per la IPF potrebbero estendersi anche ad altre patologie. “C'è da considerare che la fibrosi è un meccanismo comune a molteplici malattie, sia respiratorie che non respiratorie”, conclude Richeldi. “Si stima che la fibrosi (a livello dei vari organi interessati) sia una condizione responsabile di circa un terzo dei decessi nel mondo. In particolare, le malattie respiratorie caratterizzate da fibrosi, definite interstiziopatie polmonari, sono numerose e sprovviste, al momento, di trattamenti approvati. In tal senso, l’IPF rappresenta un modello per tutti questi disturbi, e i nuovi farmaci per la malattia sono in via di sperimentazione in altre patologie fibrosanti, sia polmonari che extra-polmonari”.

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