Ricerca

Diversi studi stanno indagando i fattori di rischio e sul fronte terapeutico si stanno sperimentando nuovi farmaci: lo spiega il prof. Pietro Invernizzi (Monza)

Non solo raro ma, per molti anni, anche trascurato. È questa la storia del colangiocarcinoma, un tumore che si manifesta sia a partire dalle vie biliari extraepatiche che dai duttuli periferici intraparenchimali e che, in troppi casi, ha una prognosi estremamente sfavorevole. In parte anche a causa della sua relativamente bassa diffusione, oggi si sa poco o nulla delle cause che lo scatenano e, purtroppo, di come riuscire a trattarlo. Tuttavia, le cose stanno fortunatamente cambiando e grazie alla ricerca, da qui ai prossimi anni le possibilità di diagnosticare tempestivamente e trattare in maniera adeguata questo tumore sono destinate ad aumentare. Lo spiega Pietro Invernizzi, professore dell’Università di Milano Bicocca e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia e del Centro per le Malattie Autoimmuni del Fegato (MAF) presso l’Ospedale “San Gerardo” di Monza.

Allo stato attuale delle cose, si ritiene che la parassitosi delle vie biliari di cani, gatti e ratti, nota come clonorchiasi, possa rappresentare un fattore di rischio di colangiocarcinoma: infatti, specialmente nelle aree del Sud-Est Asiatico ci sono state infestazioni di parassiti collegate ad una maggiore incidenza del tumore. “Secondo uno studio recentemente condotto dal prof. Giovanni Raimondo di Messina, uno dei massimi esperti nazionali, l’integrazione nei tessuti del genoma del virus dell’epatite B si riscontra in diversi tipi di tumore tra cui il colangiocarcinoma”, precisa Invernizzi. “Ciò fa pensare che infezioni svolgano un ruolo nella patogenesi di questo tumore”. Qualcuno afferma che anche l’uso di steroidi anabolizzanti possa predisporre l’insorgenza del tumore ma, al momento, i dubbi superano le certezze.

Non ci sono dubbi, invece, sul rischio di colangiocarcinoma associato alla colangite sclerosante primitiva (CSP), una rara patologia autoimmune del fegato caratterizzata dalla formazione di fibrosi intorno ai dotti biliari, con conseguente colestasi [riduzione o arresto del flusso biliare, N.d.R.] ed infiammazione. “Non è sufficiente dire che la CSP provochi un’infiammazione che può sottendere la formazione del colangiocarcinoma”, aggiunge l’esperto. “Anche la colangite biliare primitiva (CBP), come la colangite sclerosante, è una patologia autoimmune ed infiammatoria delle vie biliari, ma quest’ultima non causa quasi mai colangiocarcinoma. Entrambe sono condizioni infiammatorie ma la CSP è associata ad un alto rischio di colangiocarcinoma, la colangite biliare primitiva, invece no. Quindi non si può genericamente parlare di infiammazione”.

La CSP si manifesta con una serie di irregolarità delle vie biliari provocate da una sorta di anellini di tessuto fibrotico intorno ai dotti biliari, che vengono schiacciati in un susseguirsi di restringimenti e dilatazioni. Intanto, il fegato continua a produrre la bile che però ristagna all’interno dell’organo, provocando infiammazione con alterazioni riscontrabili nei principali marcatori epatici (fosfatasi alcalina, GGT ed anche bilirubina e transaminasi). “Alcuni di questi restringimenti dei dotti possono essere di natura oncologica ma a questo punto è difficilissimo distinguerli da quelli ancora normali”, spiega Invernizzi. “Nelle fasi iniziali, infatti, il colangiocarcinoma è indistinguibile dalla colangite sclerosante primitiva. Sottoponiamo i pazienti a colangio-RMN, oppure a colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (CPRE) quando oltre alla diagnosi pensiamo serva anche fare campionamento di materiale e biopsie o terapie. Nonostante il monitoraggio periodico dei pazienti con CSP, che vengono sottoposti a una batteria di esami di laboratorio e a indagini radiologiche, quando distinguiamo dei restringimenti di natura oncologica, il tumore è già troppo grosso”. Se il tumore non è resecabile chirurgicamente la sopravvivenza dei pazienti spesso non va oltre 12 mesi e, per i pazienti nei quali il colangiocarcinoma insorga spontaneamente, senza una patologia epatica cronica sottostante, ciò si traduce in una prognosi decisamente sfavorevole.

Oltre all’approccio chirurgico, la terapia prevede il ricorso a farmaci chemioterapici quali cisplatino e gemcitabina ma sul fronte delle nuove terapie è fondamentale guardare alle mutazioni genetiche specificamente associate alla patologia. La via da seguire è quella che predilige la messa a punto di farmaci specifici, come derazantinib. “Il mondo dell’oncologia è in continua espansione con farmaci dai sempre nuovi meccanismi d’azione”, aggiunge Invernizzi. “Quello che conta è che nessun tumore sia dimenticato. Per il colangiocarcinoma si è aperta un’era di sviluppo di nuove terapie, sostenuta da un brillante percorso di ricerca”.

Che l’immunologia epatica stia vivendo un momento di grazia è testimoniato anche dagli accordi di collaborazione scientifica siglati tra il dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca e la School of Medicine della Jiao Tong University di Shanghai, grazie ai quali dieci studenti dell’università milanese potranno studiare presso la rinomata università cinese e altrettanti studenti cinesi verranno a seguire lezioni nell’ateneo milanese. Uno scambio che si accompagnerà anche alla realizzazione di attività scientifiche e didattiche condivise, in un’ottica di aggiornamento e collaborazione su quella che è una materia tutta da esplorare.

Fare rete e unire le forze è fondamentale per contrastare forme tumorali come il colangiocarcinoma”, conclude Invernizzi che è anche Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente presso l’Università di Milano-Bicocca. “Il nostro centro di Monza fa parte dello European Network for the study of Cholangiocarcinoma (ENS-CCA), un gruppo internazionale nato proprio per promuovere la ricerca di base e clinica su questo raro tumore del fegato. Inoltre, siamo uno dei tre centri italiani coinvolti nella rete europea ERN dedicata alle malattie rare del fegato (ERN Rare Liver) tra cui anche il colangiocarcinoma. Recentemente, si è trasferita a lavorare presso il nostro Centro di Monza, la dott.ssa Sara Massironi, esperta di tumori rari epato-gastro-enterologici, ed abbiamo iniziato un ampio programma clinico, anche di sviluppo di possibili nuovi farmaci, riguardo il colangiocarcinoma. Abbiamo ancora tanto da fare, ma oggi la situazione è diversa rispetto a dieci anni fa e stiamo lavorando perché fra dieci anni sia ancora migliore”.

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