Il piccolo libico ha preso parte alla sperimentazione del San Raffaele di Roma, ora sta bene.
Il quotidiano “La Repubblica” ha riportato, il 12 Luglio scorso, la storia di Mohammad, bambino affetto da leucodistrofia metacromatica. Mohammad è il terzo figlio di una coppia di Tripoli che, a causa di questa patologia, ha già perso una bambina. Nel 2008 la sorellina di Mohammad, Amadi, muore a causa di una malattia al tempo non diagnosticata, dopo un periodo di sofferenze che la costringono a letto. Dopo poco tempo anche l’altro figlio della coppia, Mustafa, inizia a mostrare gli stessi sintomi.
E’ così che i medici, quando la coppia mette al mondo il terzo figlio, decidono di prelevare un campione del suo DNA per sottoporlo a test genetico. Dopo 3 mesi arriva la diagnosi: il bambino soffre di una rara malattia genetica, la leucodistrofia metacromatica. Si tratta di una malattia neurodegenerativa, caratterizzata dall'accumulo di solfatidi (glicosfingolipidi solfatati, soprattutto, sulfogalattosilceramide o sulfogalattocerebrosidi) nel sistema nervoso e nei reni. La malattia progredisce nell'arco di pochi anni, fino allo stadio di decerebrazione, con decesso entro i 5 anni dalla comparsa dei primi sintomi.
La famiglia viene indirizzata verso un centro di riferimento olandese, dove Mohammad potrebbe sottoporsi ad un trapianto di midollo. Ma la coppia non possiede i mezzi economici per affrontare il viaggio e l’operazione e, nella disperazione, si trova costretta a rinunciare a questa possibilità.
Nel 2010, una nuova speranza: il centro olandese informa la famiglia di Mohammad che al San Raffaele di Roma è in fase d’inizio una nuova sperimentazione relativa alla malattia. La famiglia fa immediatamente domanda per partecipare e Mohammad viene accettato nel nuovo programma. Il progetto di ricerca prevede il reclutamento di bambini con meno di 1 anno e che non mostrino ancora la sintomatologia mentre Mohammad ha 14 mesi e inizia a zoppicare leggermente, ma viene comunque coinvolto nella sperimentazione.
Superato lo step iniziale, il piccolo inizia la terapia. Gli vengono inizialmente prelevate le cellule staminali ematopoietiche, dal midollo osseo dell’anca e queste vengono sottoposte, in laboratorio, a tecniche di ingegneria genetica. La terapia prevede, infatti, che vengano prelevate delle cellule staminali ematopoietiche, nelle quali viene introdotta una copia corretta del gene diffettoso coinvolto nella malattia, attraverso dei vettori virali derivati da HIV. Una volta re-infuse nell'organismo, le cellule così “curate” sono in grado di ripristinare la proteina mancante.
Per rendere possibile tale procedimento è prima necessario resettare il sistema immunitario e Mohammad è costretto a passare 20 giorni in isolamento prima della reinfusione delle cellule staminali. Dopo 7 mesi di ospedale, però, torna a casa vittorioso e i suoi genitori mettono al mondo un’altra bambina, perfettamente sana. La coppia, infatti, ormai consapevole della possibilità concepire un feto malato, si è sottoposta alla fecondazione assistita e alla diagnosi genetica dell’embrione prima dell’impianto in utero. La famiglia è segnata, però, da un altro lutto: la morte del figlio Mustafa.
Mohammad, oggi, non mostra altri sintomi oltre il lieve problema alla gamba, va all’asilo e conduce una vita normale. Torna in Italia una sola volta all’anno per sottoporsi ai controlli.
Per ulteriori informazioni sulla leucodistrofia metacromatica potete consultare Orphanet.
Seguici sui Social