Prof. Andrea BartuliLo speciale programma d'intervento, concepito da un team di specialisti del Bambino Gesù di Roma, è stato testato con successo in una giovane colpita dalla patologia

Spesso, nell’universo delle malattie rare, una cura può essere paragonata a un viaggio su Marte: oggi questo pianeta è relativamente più vicino di sessant’anni fa, ma prima di mettere piede sulla sua superficie rossastra dovremo aspettare ancora qualche decennio. Tuttavia, non bisogna dimenticare che siamo già arrivati sulla Luna, traguardo che solo cent’anni fa ricadeva nella sfera dei sogni. Tutto ciò serve a far comprendere che se oggi ancora non esiste una terapia specifica per condizioni rare come la sindrome di Williams, non significa che non siano stati tagliati traguardi unici nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Una calzante dimostrazione di questo concetto proviene da una recente pubblicazione sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases, nella quale si descrive il caso di una paziente affetta da questa malattia, evidenziando gli interventi tesi a migliorare la qualità della sua routine quotidiana perpetrati da un gruppo multidisciplinare di professionisti della salute.

La sindrome di Williams è una rara condizione genetica con decorso cronico, originata da microdelezioni nella regione q11,23 del cromosoma 7. Anche in questo caso, similmente a quanto accade per altre patologie quali la sindrome da delezione 1p36 (clicca qui per approfondimenti), la mancanza di una infinitesimale frazione di cromosoma può concretizzarsi in un’esplosione di segni e sintomi a danno di organi diversi: i bambini affetti da sindrome di Williams, infatti, oltre presentare tratti del viso tipicamente dismorfici (tra cui iride a stella) hanno un quadro di crescita anomalo o tardivo, nella maggior parte dei casi collegato ad anomalie del sistema cardiovascolare, difficoltà motorie e deficit cognitivi. Nello specifico, l’insieme delle disabilità intellettive e il peculiare profilo comportamentale rendono necessario un approccio basato sulla collaborazione tra medici ed esperti di ambiti diversi, dai pediatri agli psicologi, fino ai cardiologi e agli esperti della riabilitazione. Una sfida raccolta e vinta con successo da un team di specialisti dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, coordinati dal prof. Andrea Bartuli, che ha lanciato un progetto per potenziare le abilità sociali e cognitive di questi giovani, agevolandoli nel loro contesto di vita quotidiano, sottolineando le loro abilità e incoraggiandoli a superare gli ostacoli imposti dalla malattia per migliorare ogni aspetto del loro vivere.

Contrariamente ai ragazzi autistici, i soggetti con sindrome di Williams hanno una forte predisposizione alle interazioni sociali e la protagonista del progetto presentato, una paziente di 27 anni in possesso di abilità intellettuali e culturali buone, si è prestata volentieri alla sequenza di attività programmate dai ricercatori allo scopo di aiutare l’individuo ad acquisire coscienza delle sue risorse, aumentare la fiducia in se stesso, dar forma alle proprie motivazioni e ottimizzare le modalità di interazione con il prossimo. Senza trascurare i punti di forza di chi è affetto da sindrome di Williams (oltre alla socievolezza, questi ragazzi hanno una marcata predisposizione mnemonica per i volti e un naturale talento musicale e per le lingue), e ricorrendo a strumenti per testarne le abilità motorie e psichiche, i ricercatori hanno messo a punto un piano di attività che, col tempo, si rivelasse in grado di incrementare la consapevolezza dei pazienti, dando loro un’idea concreta dei propri limiti e delle proprie potenzialità.

La costanza e l’impegno hanno dato frutto e la paziente ha fatto registrare progressi notevoli sia sul piano delle abilità pratiche che su quello delle interazioni sociali, così importanti per i soggetti con sindrome di Williams. Uno dei tratti più rilevanti di questa esperienza, unica nel suo genere, è stato l’aver ottenuto tali risultati in un ambiente familiare, cercando di comprendere le necessità e le esigenze del paziente e spingendo sul suo potenziale di crescita fin dalla tenera età, coltivando soprattutto i semi di un’autosufficienza che, in uno stadio successivo, diverranno virgulti della sicurezza necessaria per ottenere una posizione socio-economica che conferisca loro motivazione, dignità e rispetto per sé stessi.

Progetti simili, come Emofilia Limiti Zero, sono un esempio da seguire per le istituzioni sanitarie, e costituiscono un punto di svolta fondamentale per aumentare il livello di fiducia di pazienti unici e straordinari. Perché non bisogna dimenticare che l'essere giunti sulla Luna è il presupposto per arrivare su Marte.

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