Alla revisione ha lavorato anche la dottoressa Rocca del San Raffaele di Milano

Premettendo che una attenta osservazione clinica e l’ascolto della storia del paziente rimane un punto fondamentale nella diagnosi di sclerosi multipla, oggi per avere una conferma la risonanza magnetica è lo strumento d’elezione. Alla luce di questo diventano particolarmente importanti i criteri in uso per interpretarne i risultati, soprattutto quando è necessario fare una diagnosi differenziale tra il sospetto di sclerosi multipla e quello di un’altra malattia del sistema nervoso centrale che può dare sintomi del tutto simili, come un ictus. A questo fine nel 2001 vennero stilati i criteri di McDonald, dal nome del primo autore.  Da allora un gruppo internazionale di esperti  ha lavorato a delle revisioni. Una fu fatta nel 2005 - la prima revisione di Polman - mentre l’ultima è di pochi mesi fa, la seconda revisione di Polman, e ha il merito di introdurre ulteriori semplificazione senza compromettere l’accuratezza diagnostica. Delle novità che sono emerse  parliamo con la dottoressa Maria Assunta Rocca, della Divisione di Neuroscienze dell’Ospedale San Raffaele.

“Nell'applicare i criteri di McDonald il primo passo è quello di escludere diagnosi alternative – spiega la dottoressa Rocca – dopo di che andremo a valutare la diffusione della malattia nel tempo e nello spazio, inteso come luoghi in cui compaiono le lesioni. Da una lettura ‘associata’ di questi due dati si può arrivare alla diagnosi”.
Effettivamente i criteri che venivano richiesti nei primi criteri erano molto complessi (clicca qui per i criteri del 2001) soprattutto se si pensa ad una loro applicazione immediata nella pratica clinica quotidiana.
“Per questo – racconta la dottoressa Rocca – furono introdotti con molta cautela da parte dei clinici. Il loro utilizzo si basava su un algoritmo non semplicissimo, bisognava tenere contemporaneamente conto di molti parametri. Per stabilire la diffusione nel tempo era necessario ripetere più volte e a distanza di mesi la risonanza al fine di verificare se  fossero insorte nuove lesioni, mediamente il tempo necessario andava dai tre ai sei mesi. Per stabilire la disseminazione nello spazio, si richiedeva una valutazione sia del numero che della sede delle lesioni a livello del sistema nervoso centrale al fine di raggiungere dei criteri pre-definiti di distribuzione, che potevano diventare particolarmente complicati in forme particolari di malattia (come ad esempio la forma primariamente progressiva) o richiedere la valutazione di test aggiuntivi (quali l’analisi del liquido cerebrospinale) nel caso in cui i criteri proposti non venivano soddisfatti. Nel 2005 questi criteri furono resi più semplici per il loro utilizzo nella pratica clinica, e ora, a distanza di 10 anni dalla loro introduzione, con l’ultima revisione, sono stati ulteriormente semplificati. Ora bisognerà verificare sul campo la validità di queste nuove indicazioni e vedere se su alcune cose possa essere necessario correggere il tiro”

Quali sono i principali cambiamenti introdotti?
Per quanto riguarda la localizzazione  oggi abbiamo maggiori conoscenze e sappiamo bene dove si distribuiscono le lesioni nella SM, per fare la diagnosi ne bastano poche nei punti giusti. Abbiamo poi accorciato i tempi e ridotto gli esami necessari. Se tra una prima e una seconda RM anche a pochi giorni di distanza emergono nuove lesioni allora ci si orienta sulla SM e questo ha il grande vantaggio di arrivare molto prima alla diagnosi e conseguentemente cominciare terapie precoci. Addirittura, basandoci su uno studio presentato dai colleghi spagnoli in collaborazione con un network europeo che mira ad ottimizzare l’applicazione della RM allo studio dei pazienti con SM, di cui faccio parte, abbiamo introdotto un criterio per cui in alcuni casi  è sufficiente una sola risonanza. Se da questa emerge la presenza di vecchie lesioni e contemporaneamente anche di lesioni captanti gadolino, cioè lesioni attive, possiamo concludere di trovarci di fronte alla malattia. La compresenza di questi tipo di lesioni può sostituire la seconda risonanza magnetica di follow up.

La RM e i criteri individuati permettono di stabilire di fronte a quale tipo di sclerosi multipla ci troviamo?

Il tipo di sclerosi multipla viene definito in base alle manifestazioni ed al decorso clinico della malattia. Tuttavia, un aspetto importante che è stato approfondito e semplificato nella recente revisione dei criteri riguarda  la diagnosi della forma più rara, la sclerosi multipla progressiva primaria (SMPP). Questo tipo di sclerosi arriva verso i 55 anni; il paziente ha disturbi che spesso riguardano la deambulazione ma alla diagnosi si arriva in genere molto più tardi. Il criterio cardine per la diagnosi di questa forma di malattia è la presenza di almeno un anno di progressione del sintomo neurologico, a cui si devono aggiungere altri criteri, due dei quali si basano sulla valutazione della RM

Nella revisione sono state fatte delle importanti distinzioni per etnia ed età dei pazienti, cosa è stato stabilito?

È noto ormai che la SM non si manifesta allo stesso modo nelle popolazioni caucasiche, come la nostra, e in quelle asiatiche o latino americane, così come sono diverse le manifestazioni tra adulti e bambini. Così è stato consigliato l’uso dei criteri di Mcdonald solo per la diagnosi nella razza caucasica adulta o nei casi pediatrici ma solo dopo gli 11 anni. Negli asiatici poi bisogna tener conto di una particolarità: la sclerosi multipla si associa spesso ad una forma di coinvolgimento del nervo ottico e del midollo spinale che può avere caratteristiche simili alla neuromielite ottica, che è una malattia  rara distinta, che raramente tra i caucasici è legata alla SM.     
Inoltre è stato definito che mentre i nuovi criteri si possono applicare ai bambini sopra 11 anni non si può con i bambini più piccoli dove la malattia ha caratteristiche molto diverse.

 

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