Un gruppo di ricercatori americani ha cercato di mettere ordine tra le diverse forme note

Forse, il miglior esempio per spiegare l’enorme varietà che si può riscontrare all’interno di una classe di malattie rare è quello delle porfirie, un gruppo di disordini ereditari prodotti a partire da un errore nella catena di sintesi del gruppo eme, che è coinvolto in un ampio numero di processi biochimici tra i quali il legame e il trasporto dell’ossigeno. Il processo di sintesi prende avvio dalla combinazione delle molecole di glicina e di succinil-CoA e, grazie al prodursi di una sequenza di più reazioni, catalizzate da otto importanti enzimi, procede sino a generare una molecola di eme. La carenza di uno di questi enzimi determina l’insorgenza di una forma di porfiria piuttosto che di un’altra, con un accumulo di intermedi di sintesi che rendono difficile una catalogazione univoca.

Le porfirie, infatti, sono distinte in epatiche ed eritropoietiche, a seconda del punto in cui si osserva il difetto enzimatico, ma possono essere ulteriormente suddivise in acute e cutanee. Per fare maggior chiarezza sulle differenze che sussistono tra i diversi tipi di porfiria, gli studiosi di tre grandi centri di ricerca americani hanno pubblicato un articolo sulla rivista The New England Journal of Medicine, che, prendendo come riferimento alcuni sottotipi di porfirie, ne delinea le diversità non solo sul piano della patogenesi ma anche della sintomatologia e del trattamento, rimarcando la necessità di un’attenta analisi clinica e di un incremento di conoscenza dell’eterogeneità genotipica e fenotipica che si innesca all’interno di questo gruppo di malattie a partire da un singolo errore nel percorso di sintesi di una molecola delicata come l’eme.

PORFIRIA ACUTA INTERMITTENTE

La prima variante sviscerata dagli autori rientra nell’insieme delle porfirie epatiche ed è dovuta alla carenza di porfobilinogeno deaminasi, il terzo enzima nella via di sintesi dell’eme. Gli attacchi acuti della malattia sono preannunciati da spossatezza e incapacità di concentrarsi, seguite dall’intensificarsi del dolore addominale, dalla comparsa di nausea, vomito e, soprattutto, di sintomi neuroviscerali. I soggetti colpiti possono andare incontro anche a crisi epilettiche che, insieme al dolore addominale e all’abbassamento dei livelli di sodio nel sangue, devono indurre a pensare di trovarsi al cospetto della malattia, la cui conferma diagnostica proviene dagli elevati livelli di porfobilinogeno e acido delta-aminolevulinico nelle urine. Si tratta di una malattia autosomica dominante che colpisce sostanzialmente donne in età riproduttiva e che, contrariamente ad altre forme di porfiria, non presenta lesioni cutanee. Tra le possibili spiegazioni dei sintomi, non si esclude il ruolo giocato dall’acido delta-aminolevulinico, una molecola neurotossica che, nel corso delle fasi acute, raggiunge picchi di concentrazione altissimi. Il trattamento iniziale include la somministrazione di antiemetici, analgesici e, qualora indicato, di farmaci contro le crisi epilettiche. Tuttavia, l’unica terapia, ad oggi, specifica per gli attacchi è data dalle iniezioni intravenose di emina (Panhematin e Normosang). La terapia genica e le metodiche di silenziamento genico costituiscono due solide opportunità di trattamento della malattia: givosiran è un nuovo coniugato ESC-GalNAc-siRNA diretto contro l'enzima acido delta-aminolevulinico-sintasi 1, ed è in grado di ridurre l’accumulo di  acido delta-aminolevulinico. Negli studi su modelli murini e in trial clinici di Fase I, givosiran ha raggiunto ottimi traguardi in termini di efficacia, dando dimostrazione di poter incidere in maniera nettamente positiva sulla qualità di vita dei pazienti.

PORFIRIA CUTANEA TARDA

Contrariamente alla porfiria acuta intermittente, che è tra i più rari tipi di porfiria, la porfiria cutanea tarda è forse il fenotipo più diffuso ed è determinata dalla carenza di uroporfinogeno decarbossilasi, il quinto enzima nella via di sintesi dell’eme. La gran parte dei pazienti afflitti da questa forma di porfiria è portatrice della mutazione per l’emocromatosi, a rimarcare il ruolo preponderante giocato dall’accumulo di ferro nei tessuti. La fotosensibilità è un tratto caratteristico della malattia ed è dovuta all’alto livello di porfirine circolanti, che hanno un deciso valore diagnostico: i valori di acido delta-aminolevulinico e porfobilinogeno sono quasi sempre normali, mentre il quadro delle porfirine nel sangue, nelle urine e nelle feci, presenta alterazioni vistose, necessarie anche per distinguere la malattia dalla pseudoporfiria – nella quale si osservano lesioni cutanee simili a quelle della porfiria cutanea tarda ma senza aumento della concentrazione di porfirine nel sangue o nelle urine. La terapia d’elezione prevede il ricorso a flebotomie per abbassare i livelli di ferro epatico, ma in uno studio pilota è stato testato l’uso di deferasirox, che ha dato ottimi riscontri già nel giro di 6-8 settimane. Anche l’impiego di idrossiclorochina e clorochina è stato messo alla prova per ridurre i livelli di porfirine negli epatociti e favorirne l’escrezione con le urine. Infine, sembra che anche il trattamento contro l’infezione da HCV contribuisca alla risoluzione dei sintomi cutanei, dal momento che circa due terzi dei pazienti con porfiria cutanea tarda è affetto da HCV. In ogni caso, la prognosi è positiva e la risposta al trattamento è buona, ma sono necessarie visite periodiche per monitorare il tasso di ferritina e mantenerlo sotto il livello soglia di 100 ng/mL.

PROTOPORFIRIA

Chiaro esempio di porfiria eritropoietica, la protoporfiria è dovuta all’eccessiva produzione di protoporfirine nel midollo osseo. La protoporfiria eritropoietica classica è dovuta al deficit di ferrochelatasi, mentre la protoporfiria dominante legata all’X è scatenata dall’aumento di attività dell’enzima acido delta-aminolevulinico-sintasi 2. In entrambi i casi, le protoporfirine circolanti vengono secrete direttamente nella bile, per cui il colore delle urine appare normale. I primi sintomi si manifestano già durante l’infanzia, con comparsa di eritemi e lesioni cutanee dolorose, urticanti e pruriginose dopo pochi minuti di esposizione alla luce del sole. La malattia ha una trasmissione autosomica dominante con penetranza incompleta, anche se il meccanismo genetico che sottende l’espressione clinica sembra più complesso e chiama in causa la mutazione IVS3-48T-C a livello del gene per la ferrochelatasi. Nel 5% dei casi, inoltre, è stata descritta una forma a eredità autosomica con una mutazione in entrambi gli alleli che codificano per tale gene. La complessità sul piano genetico si contrappone a una relativa semplicità diagnostica: gli aumentati livelli di protoporfirine e zincoprotoporfirine (queste ultime soprattutto nella protoporfiria dominante legata all’X) sono indicativi della malattia. L’accumulo di protoporfirina IX è la principale causa dei sintomi e rende i pazienti ipersensibili alla luce, costringendoli a proteggersi con occhiali scuri, cappelli e vesti ampie e coprenti. In alcuni casi è addirittura necessario un trapianto di fegato per contenere il danno epatico. L’uso di antiossidanti sembra poter produrre sollievo, ma a rappresentare un poderoso balzo di qualità nel contenimento della sintomatologia è stato l’avvento dell'afamelanotide (Scenesse), che favorisce il ripristino della produzione di melanina con risultati positivi e persistenti anche per più di 4 settimane.

Nella loro grande diversità, le porfirie colpiscono duramente la qualità di vita dei pazienti, limitandoli nelle attività quotidiane e quasi costringendoli a un’esistenza da reclusi. Tuttavia, una comprensione delle varianti che dividono una forma dall’altra è necessaria, e fa la differenza insieme alle non trascurabili opportunità offerte dai nuovi farmaci, che possono garantire risultati via via più concreti e duraturi.

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