Dr.ssa Paola Manzini - Porfiria epatica acuta

La dr.ssa Paola Manzini racconta la complessa vicenda di una ragazza di 27 anni giunta in Italia dal Marocco: nel suo Paese non c'erano i farmaci per curarla

Cuneo – “Siamo davvero molto fortunati a vivere in un Paese dove la ricerca farmacologica va avanti e i pazienti hanno accesso alle nuove terapie”, riflette la dr.ssa Paola Manzini. Perché il caso clinico che ci racconta è emblematico per capire le differenze fra un mondo dove la sanità, con i suoi pregi e i suoi difetti, ci ha permesso di dare per scontata la presenza dei farmaci negli ospedali e nelle farmacie, e un altro mondo in cui anche le cure più essenziali sono un miraggio. E le differenze diventano enormi se si parla di malattie rare come le porfirie.

“Le manifestazioni della porfiria – dolore addominale, agitazione psicomotoria, ansia, nausea, vomito e stitichezza – sono molto variabili e possono essere confuse con quelle di altre patologie. Fortunatamente, non tutte le persone affette esprimono i sintomi, ma solo circa un quarto di loro”, spiega la dr.ssa Manzini, direttrice della Struttura Complessa Interaziendale di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale presso l’Azienda Ospedaliera “Santa Croce e Carle” di Cuneo.

Attualmente nel Centro di Cuneo sono tre i pazienti in terapia per forme severe di porfiria epatica acuta, più altri sette che continuano ad essere seguiti anche se non hanno avuto recrudescenze. Ma il caso di Laila, una ragazza marocchina di 27 anni, rimarrà a lungo nei ricordi dei medici. La giovane, dopo aver ottenuto una diagnosi biochimica nel suo Paese, ha inviato un campione del proprio sangue a Parigi, dove è stata confermata la diagnosi genetica di porfiria epatica acuta. Ma in Marocco, per questa malattia, non c'è alcuna possibilità di terapia, né con il classico trattamento a base di emina, né tantomeno con i farmaci di ultima generazione come il givosiran; solo oppioidi per contrastare il dolore.

La malattia, così, procura alla giovane continue e ripetute crisi di dolore addominale molto severo che le precludono una vita normale, fatta di studio e relazioni familiari e sociali. Poi la condizione inizia a peggiorare, provocando un danno neurologico a braccia e gambe: la ragazza ha difficoltà a mantenere l'equilibrio; non riesce più a flettere il piede, che tende a cadere verso il basso e la costringe a lanciare in avanti la gamba per tentare di camminare, con la tipica “andatura steppante”; non ha più forza nei muscoli estensori dal gomito in giù; il polso e le dita delle mani si piegano verso il basso. Così Laila decide di intraprendere il classico viaggio della speranza: nel gennaio del 2023 lascia il Marocco, arriva in Italia insieme alla mamma e si presenta al pronto soccorso delle Molinette di Torino durante una crisi di dolore addominale acuto, dove, ricoverata nel reparto di Medicina del prof. Massimo Porta, su consulenza della dr.ssa Manzini, viene sottoposta a un primo trattamento con emina per abbassare i valori di acido delta-aminolevulinico (ALA) e porfobilinogeno (PBG), sostanze tossiche che si accumulano nell’organismo a causa della porfiria. Una terapia che è utile per ridurre i dolori, ma che non ha effetto sul danno neurologico.

Poi i medici evidenziano una situazione clinica che complica il quadro. “Laila, avendo fatto un abbondantissimo uso di morfina per tanti anni, aveva sviluppato una forte dipendenza dagli oppioidi”, racconta la dr.ssa Manzini. “Per prima cosa, quindi, l'abbiamo inserita in un programma di graduale riduzione della morfina, che lei continuava a chiedere nonostante non avesse più avuto attacchi acuti di porfiria che ne avrebbero giustificato l'uso. Poi sono subentrati altri problemi, di natura economica e relativi al permesso di soggiorno. Infine, nel mese di aprile è stata ricoverata per quindici giorni nel reparto di Neurologia dell'Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo, diretto dal dr. Marco Capobianco, dove nel frattempo mi ero trasferita, e lì, dopo un ulteriore ciclo di emina, abbiamo iniziato la terapia con givosiran, una volta al mese, e ripreso la disassuefazione da morfina”.

Oggi i medici continuano a seguire Laila a livello ambulatoriale e – a parte una ricaduta a settembre – sembra che stia riuscendo a superare la dipendenza da oppioidi. “Ma il miglioramento più sorprendente è avvenuto sotto l'aspetto neurologico: all'ultima visita di controllo (4 dicembre), quindi dopo otto mesi di terapia con givosiran, la ragazza ha recuperato quasi completamente l'uso degli arti inferiori e quando la si vede camminare non sembra più la Laila che abbiamo conosciuto alle Molinette. La piena funzionalità degli arti superiori non è ancora stata raggiunta, ma solitamente i nervi che innervano i muscoli più piccoli hanno un recupero più lento”, sottolinea la dr.ssa Manzini.

Esistono pochi dati sull'effetto di givosiran sui danni neurologici, perché sono pochi i pazienti che li manifestano [uno di questi rari casi l'abbiamo raccontato quiN.d.R.]. Da queste esperienze sapevamo che il farmaco è in grado di impattare sul danno causato dai metaboliti ALA e PBG: va infatti ad agire su ciò che causa i sintomi, eliminando le sostanze tossiche che provocano il danno al sistema nervoso. In questo caso givosiran non è stato usato, come di routine, per contrastare le crisi acute di porfiria, ma prevalentemente per recuperare il danno neurologico”, conclude l'esperta.

Una volta che Laila ha ripreso a camminare, sua madre è potuta tornare in Marocco. Lei, invece, che nel suo Paese aveva già ottenuto una laurea, sta studiando l'italiano e resterà qui, in cerca di un nuovo futuro e con la certezza di un'assistenza sanitaria di qualità, che purtroppo in molte parti del mondo è ancora un'utopia.

Per questa patologia sono attive in Italia due associazioni di pazienti: “Vivi Porfiria” e “Associazione Italiana Malati di Porfiria Domenico Tiso”.

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