Storia di Marco - miosite

Si tratta di una malattia rara prevalentemente autoimmune del tessuto connettivo, dalla diagnosi non sempre facile

Fino a qualche anno fa la miosite e la dermatomiosite in forma grave avevano quasi sempre una prognosi molto difficile. Oggi, grazie a nuovi farmaci quali gli anticorpi monoclonali, le cose sono diverse. A fine febbraio Marco, 52 anni, non si alzava più dal letto, neanche per andare in bagno. In appena due mesi dall’esordio dei sintomi aveva perso oltre 20 chili, non riusciva più a mangiare, tanto che gli hanno dovuto inserire una PEG per l’alimentazione, poiché i muscoli esofagei non funzionavano perfettamente e c’era il rischio che pezzi di cibo andassero a finire nel canale respiratorio, fatto che causerebbe un’infezione molto grave da gestire.

“Anche solo stare così in piedi come te mi sembra utopia”, diceva alla figlia che lo guardava accanto a lui, nel reparto di reumatologia dell’ospedale. A fine marzo, un mese dopo, Marco pedala per 20 chilometri in bicicletta. Non ha ripreso ad alimentarsi per bocca perché il muscolo esofageo non è ancora tornato come prima, deve aspettare ancora, ma il recupero complessivo è stato stupefacente.

“Ho sempre amato la bicicletta, e anche se ero in sovrappeso ho sempre pedalato. Fino a novembre scorso percorrevo anche 70 chilometri al giorno con l’e-bike, oltre a fare lunghe passeggiate quotidiane” racconta Marco.

Un giorno d’improvviso iniziano i sintomi: prima una sorta di herpes che non passa ma che anzi si estende a bocca e naso; poi un occhio un po’ gonfio e le prime difficoltà a deglutire. In concomitanza compaiono delle strane macchie come papule rotondeggianti e rosee su schiena e interno coscia. In una settimana Marco si ritrova a mangiare pochissimo ed è stanco. “Sono andato al pronto soccorso per ben tre volte prima che ritenessero di ricoverarmi; credevano avessi una foma herpetica o che mi avesse punto un insetto”. In realtà erano i primi sintomi di una forma di polimiosite di origine autoimmune che nel caso di Marco si ritiene sia stata indotta dalle statine, che lui assume ad alto dosaggio da diversi anni dopo un infarto. L’effetto avverso è descritto in letteratura, ma i casi sono rarissimi, specie in un ospedale di provincia.

La miosite è una malattia rara prevalentemente autoimmune del tessuto connettivo – spiega spiega la Prof.ssa Christopher-Stine Direttrice del Centro per le Miositi della Johns Hopkins University di Baltimora – che provoca infiammazione e debolezza a livello muscolare, ossia miopatia infiammatoria o insieme cutaneo e muscolare (si parla in questo caso di dermatomiosite). Il sistema immunitario attacca per errore le strutture muscolari e talvolta anche la pelle, le articolazioni, i vasi o alcuni organi interni come l’esofago.

Ci sono diverse forme di malattia. Nel caso di Marco, dopo un mese di diagnostica che ha escluso una serie di altre patologie, la diagnosi è stata di miosite necrotizzante indotta da statina (anti HMG-CoA reduttasi) con disfagia mista.”

Nella maggior parte dei casi le miositi si presentano in forma leggera tanto che nel 70% dei casi è sufficiente una terapia cortisonica. Marco rientra invece nel 30% dei pazienti per i quali il cortisone non è sufficiente. Si è trattato di una forma molto aggressiva e rapida, che gli ha – per usare le parole del reumatologo che lo seguiva – “martellato i muscoli di tutto il corpo”.

La perdita di tono muscolare è avvenuta gradualmente: alla diagnosi, a un mese dal ricovero, Marco ancora camminava, seppur affaticato. Dopo due mesi, e a tre settimane dall’inizio delle terapie, la situazione era incredibilmente peggiorata. “Ogni giorno mi sentivo peggio, ma i medici mi spiegavano che era normale che ciò si verificasse, anche se per un paziente è controintuitivo stare peggio e non meglio dopo i farmaci”. Le prime due terapie per Marco non sono sufficienti, ed è necessario ricorrere all’ultima linea, l’anticorpo monoclonale. Rituximab è un farmaco anti-cellule B usato solitamente per la terapia del linfoma non-Hodgkin, che è stato testato con successo anche per i pazienti con miosite grave e meno reattiva rispetto alle terapie immunosoppressive. All’anticorpo monoclonale si possono aggiungere comunque anche terapie immunosoppressive e antinfiammatorie come micofenolato mofetile, methotrexato, tacrolimus e immunoglobuline da assumere per endovena. Accanto a questi ci sono i nuovissimi farmaci in fase di studio, trial clinici in tutto il mondo, anche in Europa. I farmaci JAK-inibitori, ad esempio, stanno mostrando risultati eccezionali anche per alcune forme molto gravi. Nel caso di Marco, la combinazione che è risultata vincente è stata rituximab, tacrolimus e immunoglobuline.

Il primo valore che risulta alterato nei pazienti con miosite attiva è il CPK, la creatin-fosfo-chinasi, un enzima muscolare. Nella fase acuta di malattia, a due mesi dal ricovero, Marco presentava un valore di CPK pari a 15 mila U/L contro un valore ottimale che non dovrebbe superare i 300 U/L. Alla dimissione dopo tre mesi dall’esordio dei primi sintomi, i valori di Marco sono tornati nella norma.

Una volta che la miosite è stabilizzata è possibile condurre una vita normale, anche se la malattia va comunque tenuta sotto controllo anche nelle fasi di remissione. “Ho avuto tanta paura e ho ancora paura, perché la miosite è una malattia cronica, che non scompare come per magia. Mi sono visto da una settimana all’altra allettato, senza poter più mangiare – ancora non mangio per bocca ma mi alimento tramite PEG – con il terrore che stessi piano piano spegnendomi: la sensazione era di essere una candela che piano piano si stava consumando. Per fortuna ho avuto accanto del personale sanitario che mi motivava, e la voglia di tornare in bicicletta. I medici sono stupiti dal mio recupero: in due settimane sono passato da fare due passi appoggiato al bastone a risalire in bicicletta, tanto che non è stata necessaria la riabilitazione post-dimissione. Chiaramente non per tutti sarà così, e il percorso prevede la presa in carico fisioterapica, ma racconto volentieri la mia storia perché io sono una persona come tante, non sono un atleta. Sono una persona molto diligente e molto motivata, che sta riuscendo a recuperare molto più del previsto e che oggi sa che anche dovessero esserci di nuovo momenti di riacutizzazione della malattia, posso tornare in piedi”.

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