Sindrome di Rett, Marina Cometto e sua figlia ClaudiaLa lettera al Presidente Mattarella, affinché le famiglie che assistono disabili gravi non vengano dimenticate

Marina Cometto assiste Claudia, sua figlia, da 45 anni, cioè da quando è nata. Claudia ha una disabilità gravissima, causata dalla sindrome di Rett, scoperta dopo ben 38 anni di domande senza risposte. Marina, da moltissimi anni, si batte per i diritti delle persone con disabilità e soprattutto per i diritti dei caregiver: mamme, papà, fratelli e sorelle troppo spesso lasciati soli ad assistere persone che hanno bisogno di tutto. 24 ore su 24, senza pause pranzo o pause caffè.

Perché i figli, i mariti, le mogli, i fratelli e le sorelle con disabilità gravissima sono datori di lavoro esigenti, che non danno tregua: vogliono essere nutriti, lavati, accuditi, abbracciati. “Oltre a essere madre sono infermiera, medico, pur non avendone i titoli - scrive Cometto - persino la diagnosi della sua malattia è stata individuata da me, insegnante, assistente, badante, con una sola differenza con gli altri lavoratori, non sono stata mai stipendiata, anzi, ho dovuto scegliere se tornare al lavoro e affidarla a un istituto o assisterla personalmente”. Di seguito la lettera integrale.

“Gentilissimo Presidente MATTARELLA,

Le scrivo per farle una richiesta inusuale forse, ma con fondamentali motivazioni che vado a illustrarle: il mio datore di lavoro, una donna, da ben 45 anni avanza richieste sempre più pressanti e impegnative a cui io non riesco a rispondere negativamente. Vuole essere imboccata 5-6 volte al giorno per mangiare e altre 4-5 per bere per un totale di 6 ore al giorno. Vuole essere sorretta per fare qualche passo in casa con il deambulatore. Vuole, pretende, 'sta impunita, di essere svegliata con il sorriso sulle labbra e con una carezza affettuosa. Vuole essere portata a spasso con la sua sedia a rotelle. Vuole la mia attenzione in ogni momento della giornata per essere accarezzata e impegnarla in qualche attività per stimolare il suo lato cognitivo molto compromesso. Vuole essere cambiata sovente: essendo incontinente convive con il pannolone. Vuole, più volte nella notte, essere girata nel letto per cambiare posizione. Vuole guardarmi negli occhi e trovare comprensione e sostegno. Vuole che io capisca se ha male o se ha bisogno di qualcosa senza dover profferire parola. Vuole essere accompagnata dal medico quando sta male. Vuole la mia presenza continua per l’assistenza ospedaliera quando necessita di un ricovero. Vuole che io sia la sua ombra per 365 giorni all’anno e questo da 45 anni. Non crede Presidente che questa MIA DATRICE DI LAVORO sia pretenziosa e impegnativa al massimo e che superi di molto tutte le possibili previsioni di impegno umano e affettivo?

Mi presento: sono la mamma di una persona disabile gravissima di 45 anni e il mio impegno costante è l’assistenza e la cura di questa mia creatura “speciale” a cui mai ho fatto mancare la mia presenza: ho dimenticato cosa voglia dire dormire una notte in modo continuativo, ho dimenticato cosa voglia dire poter uscire insieme con tutta la famiglia, non ricordo più cosa voglia dire allontanarsi di casa per più di 1 giorno, massimo 2, e oggi anche mezza giornata è già tanto, ogni volta con l'apprensione che chi rimane con lei riesca a cogliere il minimo accenno di malessere, visto che mia figlia non è in grado di esprimersi. Ho sostituito lo Stato per l’assistenza, ho fatto risparmiare un sacco di denaro ai contribuenti facendomi carico di molte delle funzioni spettanti ai Servizi, siano essi sanitari, educativi o assistenziali: non crede che io meriti un riconoscimento?

NON ho riconosciuto il diritto ad alcuna pensione neppure ora che ho abbondantemente raggiunto una bella età e un impegno costante paragonabile a un importante impegno lavorativo, come intensità e fatica fisica e mentale, oltre che affettivo; quota 100 per me è una grande presa in giro, per quanto mi riguarda personalmente. Ho tutelato e salvaguardato una vita fragile e bisognosa di attenzioni minuziose e sollecite, riuscendo tra l’altro a crescere insieme a mio marito altri due figli e portarli all’onor del mondo. Ho svolto, svolgo, un lavoro usurante, sia fisico, mentale che psicologico e morale. Viene dato il titolo di Cavaliere ai giocatori perché portano in Alto il nome dell’Italia in campo sportivo (senza troppa fatica, mi permetta, in fondo sono pagati profumatamente per questo), viene dato il titolo di Cavaliere a molte persone che pur facendo onore al nostro Paese non vivono lo stesso impegno per un numero di anni così cospicuo, viene dato il titolo di Cavaliere a imprenditori al solo scopo di evidenziare il loro impegno e ingegno industriale.

Non crede, sig. Presidente, che potrei essere insignita di titolo di Cavaliere del Lavoro per essere stata fedele per 45 anni allo stesso “datore di lavoro”? Perché di questo si tratta: oltre a essere madre sono infermiera, medico, pur non avendone i titoli, persino la diagnosi della sua malattia è stata individuata da me, insegnante, assistente, badante, con una sola differenza con gli altri lavoratori, non sono stata mai stipendiata, anzi, ho dovuto scegliere se tornare al lavoro o assistere mia figlia personalmente oppure ricoverarla in un istituto: ho scelto la via più impegnativa e non me ne pento, ma vorrei che il mio impegno fosse riconosciuto pubblicamente, non fosse altro per far conoscere agli italiani le profonde, sentite, silenziose vite di tante donne che purtroppo, ancora oggi, sono ignorate: LE MAMME DI PERSONE CON DISABILITA' GRAVE E GRAVISSIMA.

Cordiali saluti, Marina Cometto”

Per approfondimenti sulla sindrome di Rett è possibile visitare la sezione di OMaR dedicata alla patologia.

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