Questo ed altri bisogni emergono dalla survey “Il paziente al centro” realizzata dalla Fondazione Cutino
La Fondazione Franco e Piera Cutino ha condotto un’importante survey volta a far emergere, attraverso la compilazione di un questionario, le esigenze personali e sanitarie dei pazienti affetti da emoglobinopatie. L’indagine, svolta nell’arco di due anni, ha coinvolto in tutto 9 centri di talassemia d’Italia e ben 348 pazienti affetti da beta-talassemia e anemia falciforme. Quest’ultime sono delle rare forme di anemia che determinano, nel primo caso una ridotta o assente produzione dell’emoglobina adulta che costringe i pazienti a continue trasfusioni di sangue; nel secondo caso una alterazione dei globuli rossi che assumono una tipica forma a falce (da qui il nome della patologia) creando delle dolorose crisi vaso occlusive.
Per conoscere l’idea di base dell’iniziativa della Fondazione “Cutino” e i risultati emersi dalla survey “Il paziente al Centro”, abbiamo incontrato la pediatra Lorella Pitrolo, esperta in management della talassemia e coordinatrice della survey.
Dottoressa Pitrolo, cosa vi ha spinto alla realizzazione di questa survey e quali Centri di talassemia hanno aderito?
Il progetto nasce con lo scopo di far emergere, attraverso la compilazione di un questionario, le esigenze personali e sanitarie dei pazienti affetti da emoglobinopatie. Considerando gli straordinari mutamenti di prognosi che hanno condotto ad un miglioramento della qualità e dell’aspettativa di vita per le persone affette da emoglobinopatie - grazie alla crescente efficacia, negli ultimi 15-20 anni, delle terapie convenzionali e alla ricerca scientifica che proiettano questi pazienti verso traguardi un tempo immaginabili come la sospensione temporanea delle trasfusioni, attraverso l’uso di nuovi farmaci, e la guarigione con la terapia genica – abbiamo ritenuto interessante rilevare quale fosse oggi la percezione che questi pazienti hanno nei confronti della loro qualità di vita e delle cure che ricevono. La survey, sviluppata tra il 2023, la prima edizione, ed il 2024 la seconda, coinvolge – continua Pitrolo – pazienti seguiti in due differenti tipologie di centri di cura: nella prima edizione, abbiamo intervistato pazienti seguiti presso tre centri di riferimento (Cagliari, Ferrara, Catania) con numero elevato di utenti, spesso coinvolti in studi di sperimentazione clinica; nella seconda edizione invece abbiamo coinvolto pazienti in cura presso strutture non dedicate esclusivamente alla talassemia ed aggregate ad altre unità operative (Novara, Ravenna, Modena, Salerno, Locri) ad eccezione di una (Sant’Agata di Militello).
Quali sono le principali evidenze emerse nella survey?
Non si sono registrate differenze per quanto riguarda le caratteristiche generali dei campioni esaminati nelle due edizioni. La fascia di età più rappresentata è quella compresa tra i 45-54 anni e il 50% circa dei pazienti intervistati è coniugato/convivente e il 37,4% ha dei figli. Il giudizio complessivo espresso sulle relazioni di cura con il personale medico ed infermieristico è altamente positivo in entrambe le edizioni, anche se i pazienti seguiti presso i centri più piccoli sottolineano la necessità di avere del personale stabilmente dedicato: la professionalità, l’attenzione per il paziente e la qualità delle cure ricevute sono i tre aspetti maggiormente graditi. Per quanto riguarda invece le criticità, i pazienti della prima edizione evidenziano carenze soprattutto negli aspetti organizzativi, riferendosi alla carenza del sangue e al conseguente non rispetto della programmazione trasfusionale; i pazienti seguiti nei centri più piccoli invece sottolineano la necessità di migliorare alcuni fattori strutturali legati agli spazi a disposizione, il grado di comfort e il rispetto della privacy.
Che percezione hanno i pazienti delle cure che ricevono e come si confrontano davanti all’ipotesi di cambiamento di terapia?
Una percentuale superiore al 70% dichiara che il trattamento farmacologico convenzionale prescritto, discusso e stabilito con il medico, incide positivamente sulla propria qualità di vita senza differenza tra i centri di appartenenza. Il 23% dei pazienti dei centri dedicati, però, contro il 15% dei centri aggregati, dichiara di percepire un senso di fatica nel seguire il piano terapeutico convenzionale ed il 52% è disponibile ad un cambio di terapia. Invece esprime una propensione al cambiamento del trattamento solo il 34,4% degli appartenenti ai centri della seconda edizione, nonostante una percentuale superiore al 50% mostri “fiducia” verso le terapie innovative da poco disponibili anche nel nostro Paese, che mirano a ridurre il fabbisogno di trasfusioni e limitano gli accessi ospedalieri, rispetto al 35% rilevato nella prima edizione. Dall’indagine si evince che il secondo campione ha ricevuto dai medici adeguate informazioni sui nuovi farmaci nel 76,6% e sulle nuove possibilità terapeutiche di terapia genica nel 63,3%. Invece – continua Pitrolo – solo il 45% dei pazienti della prima edizione dichiara di aver ricevuto dai medici adeguate informazioni sui nuovi trattamenti. Ancora, la prima edizione della survey evidenzia la scarsa fiducia riservata alle terapie che mirano alla guarigione: più del 50% dei pazienti dichiara infatti di non avere alcuna aspettativa e solo il 18% spera di abolire in modo definitivo il trattamento trasfusionale; al contrario nella seconda edizione i pazienti mostrano un cauto ottimismo dichiarando nel 52,9% di poter ottenere la guarigione con le attuali terapie sperimentali.
Quali sono le conclusioni rilevate con la survey “Il paziente al centro”?
In conclusione, l’appartenenza a differenti tipologie di centri di cura non influenza gli standard di cura offerti ai pazienti, che esprimono in alta percentuale un giudizio positivo sulla qualità dell’assistenza erogata. I pazienti seguiti presso i centri “dedicati” segnalano come aspetti negativi gli aspetti organizzativi, giudicano positivamente le cure convenzionali ma sono disponibili ad un cambio di trattamento, anche se hanno delle aspettative limitate sulla possibilità di ridurre l’apporto trasfusionale e ancor meno sul traguardo della guarigione. Invece – conclude Pitrolo – i pazienti della seconda edizione sottolineano la necessità di avere del personale e degli spazi dedicati, giudicano positivamente le cure convenzionali ma sono meno propensi ad intraprendere un percorso sperimentale di cura nonostante abbiamo un atteggiamento positivo sui nuovi trattamenti.
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