Per il dr. Gian Luca Forni (SITE) non si è avuta carenza di sangue e l'emergenza Coronavirus è stata gestita in tutta Italia senza particolari criticità
Roma – In un momento di grande emergenza come quella legata alla diffusione del nuovo Coronavirus, è possibile assicurare la gestione delle patologie croniche, che necessitano di un'assistenza continua? Nel caso della talassemia, ad esempio, è fondamentale evitare l'interruzione della terapia trasfusionale, che rappresenta un vero e proprio intervento salvavita. In Italia, nonostante i timori iniziali, la situazione è stata gestita con successo, come ha spiegato il dr. Gian Luca Forni nel corso del webinar “COVID-19 e malattie rare”, organizzato lo scorso 28 aprile dall'Istituto Superiore di Sanità. Forni, direttore del Centro Microcitemia, Anemie Congenite e Dismetabolismo del Ferro dell'Ospedale Galliera di Genova, è anche presidente della SITE (Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie).
Secondo i dati del Registro Nazionale Talassemie ed Emoglobinopatie, istituito nel 2017 presso il Centro Nazionale Sangue, le talassemie sono le più frequenti anemie congenite. Incrociando i dati del Registro con quelli della società scientifica di riferimento, la SITE, oggi sappiamo che in Italia sono circa 5.000 i pazienti con talassemia trasfusione-dipendente, 1.900 con talassemia non trasfusione-dipendente e 2.000 con sindromi falcemiche, ai quali devono aggiungersi altri casi di anemie più rare. Perché la talassemia è così rilevante? “Perché in diverse zone d'Italia, dal Delta del Po a molte aree del Meridione, in passato c'era un problema endemico: la malaria”, spiega il dr. Forni. “Dalla parassitosi malarica sono derivate delle alterazioni dell'emoglobina, in quanto i portatori di queste caratteristiche avevano una resistenza maggiore nei confronti della malaria. Però, mentre la malaria è scomparsa, l'alterazione è rimasta, ed è ormai insita nel DNA di quasi il 10% della popolazione italiana”.
Da due genitori portatori può nascere un bambino con una forma di anemia grave, la talassemia major, che fino agli anni '50-'60 del secolo scorso era mortale nei primi dieci anni di vita. Nel corso dei decenni successivi la curva di sopravvivenza è diventata quasi parallela a quella della popolazione generale, e ora la talassemia major è diventata una malattia a prognosi aperta. Questo è potuto accadere grazie all'istituzione di una serie di centri specializzati, che hanno gestito la patologia in modo multidisciplinare, con particolare attenzione alle sue complicanze. Le cause prevalenti di morte, fino a qualche anno fa, erano infatti le complicanze dovute al sovraccarico di ferro causato dalle trasfusioni; grazie alle terapie chelanti e ai nuovi metodi diagnostici, questa causa è diminuita di molto, e oggi una delle principali cause di morte sono le infezioni.
In questo quadro si è inserita la pandemia di Coronavirus, e gli ospedali hanno ricevuto l'indicazione generale di svolgere solo attività non procrastinabili, con la possibilità di coinvolgere il personale medico-infermieristico e di utilizzare i locali dei Centri Talassemia nella gestione dell'emergenza. “Quindi la routine è andata a bloccarsi”, sottolinea Forni. “L'attività di screening e di counselling è stata ridotta, a parte quella rivolta alle coppie in gravidanza che chiaramente non era possibile rinviare. Ad ogni modo, con l'allestimento di un percorso ad hoc 'sporco/pulito', la terapia trasfusionale salvavita e le visite ai pazienti in trial terapeutici sperimentali sono continuate regolarmente”.
“La paura dei pazienti, e all'inizio anche un po' la nostra, era la possibilità di trasmissione del Coronavirus tramite trasfusione di globuli rossi: al momento, tuttavia, non esiste evidenza di questo fatto. I pazienti con preesistenti comorbilità croniche hanno sicuramente un rischio maggiore di avere forme severe di infezione da SARS-CoV-2, ma non abbiamo informazioni riguardo una maggiore vulnerabilità dei pazienti con emoglobinopatie. Un altro timore era l'ipotesi di una carenza di sangue: magari i donatori avrebbero deciso di rimanere a casa. Invece, qui in Liguria, il Centro Regionale Sangue ha sensibilizzato le persone e programmato le donazioni: per fortuna non si è avuta carenza di sangue e non ci risultano particolari criticità su tutto il territorio nazionale. Una domanda che spesso ci hanno rivolto è stata: bisogna proseguire o meno la terapia di chelazione del ferro per i talassemici e quella con idrossiurea nei pazienti falcemici? Noi abbiamo dato indicazione di continuarle entrambe”, prosegue il dr. Forni.
Per indagare il rapporto fra emoglobinopatie e Coronavirus, la società scientifica SITE ha promosso un’indagine, i cui dati preliminari sono stati pubblicati pochi giorni fa sull'American Journal of Hematology. Secondo il sondaggio, inviato a tutti i centri di riferimento italiani, fra le persone risultate positive al COVID-19 nel nostro Paese, 15 sono talassemiche (14 con talassemia major) e 3 sono affette da falcemia. Questi pazienti, nel 73% dei casi residenti in Lombardia, avevano come comorbilità principale la splenectomia, l'intervento di asportazione della milza, che rende più suscettibili alle infezioni batteriche. “Molti sono stati paucisintomatici e non hanno avuto necessità di ospedalizzazione, nessuno è stato intubato e non si è verificato alcun decesso; anzi, tutti sono poi risultati negativi e sono stati dimessi”, conclude Forni. “Quella che abbiamo esaminato è senz'altro una piccola coorte di pazienti, ma è comunque un buon segno”.
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