L’ipotesi che a facilitare l’insorgenza della SLA possano essere terreni contaminati, fertilizzanti o magari l’uso frequente di farmaci si allontana sempre più mentre una nuova ricerca, tutta italiana, rafforza l’idea che all’origine dei molti casi di malattia, e soprattutto di quelli tra gli sportivi, vi siano i frequenti traumi ai quali sono esposti. Ad andare in questa direzione è uno studio condotto all'Istituto Mario Negri di Milano, i cui risultati sono stati presentati sabato. Da questi si evidenzia come più numerosi sono i traumi fisici che si subiscono nel corso della vita, maggiore è il rischio di sviluppare la Sla.

Nella ricerca del Mario Negri sono stati intervistati 377 pazienti e 754 persone sane dal settembre 2007 all'aprile 2010. E proprio da qui è chiaramente emerso che c’è un’associazione tra i traumi e la patologia: i ripetuti colpi sarebbe dunque, secondo i ricercatori, non certo la causa della malattia ma sicuramente un fattore di rischio. E questo, ad esempio, potrebbe spiegare in buona parte i numerosi casi di SLA registrati tra i calciatori.
Successivamente, gli scienziati del Mario Negri hanno voluto verificare se anche il numero di traumi subiti risultasse un fattore di rischio.
"I risultati ottenuti – spiegano - mostrano un andamento lineare: all'aumentare del numero di traumi aumenta anche il rischio di malattia. Lo stesso risultato è stato ottenuto limitando l'analisi ai traumi avvenuti 5 anni prima l'esordio della patologia, escludendo così eventi forse occorsi in epoche successive all'inizio dei sintomi". L'analisi dei dati per sottogruppi ha permesso di verificare che il rischio era maggiore nei pazienti maschi e in coloro in cui la malattia era esordita agli arti (esordio spinale). "Si può dunque concludere - spiega Ettore Beghi, del Laboratorio malattie neurologiche del Dipartimento Neuroscienze del Mario Negri - che l'evento 'trauma' sia un fattore di rischio per la Sla, soprattutto se ripetuto e inducente disabilità, e l'associazione è statisticamente significativa. Non sembra invece esserci alcuna correlazione tra il sito di insorgenza della malattia e la sede dei traumi. Effettuando analisi per sottogruppi, alcune variabili da noi considerate solo come confonditori hanno assunto un ruolo 'interessante'. Il caffè, ad esempio, è risultato quale fattore protettivo in tutte le analisi".
Ma gli studi che vengono condotti all’Istituto Mario Negri non si fermano a questo risultato. Attualmente infatti i ricercatori stanno facendo degli esperimenti sugli animali per tentare di trovare una cura alla malattia usando cellule staminali del cordone ombelicale. Sembra infatti che queste ultime agiscano in maniera particolare ed esercitino un ruolo positivo non tanto perché vanno a sostituirsi alla cellule malate, come di solito avviene per le terapie a base di staminali, ma perché la loro introduzione stimola la produzione di fattori della crescita e chitochine anti infiammatorie che, secondo quello che stanno verificando i ricercatori, andrebbero almeno a rallentare il decorso della malattia.  

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