dott.ssa Marina Vivarelli - Sindrome emolitico-uremica atipica

Dott.ssa Marina Vivarelli (Bambino Gesù): “Diagnosi precoce e trattamento farmacologico tempestivo sono gli strumenti di cui disponiamo per prevenire l’insufficienza renale terminale”

La compromissione renale è uno dei sintomi tipici della sindrome emolitico-uremica atipica (SEUa)”, spiega la dott.ssa Marina Vivarelli, Responsabile dell’Unità di ricerca ‘Laboratorio di Nefrologia’ e medico strutturato dell'Unità Operativa Trials dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. “A volte si tratta solo di lievi segni di sofferenza dal punto di vista della funzionalità renale: aumento della creatinina, proteinuria ed ematuria (presenza di proteine o sangue nelle urine); altre volte, invece, il paziente arriva al pronto soccorso già gravemente scompensato, gonfio, iperteso e incapace di urinare autonomamente”. Oggi, tuttavia, con l’avvento dei farmaci inibitori del complemento, è possibile arrestare il processo ischemico provocato dalla SEUa e prevenire il danno d’organo associato. “Per cominciare immediatamente il trattamento, però, è fondamentale che la diagnosi sia corretta e tempestiva”, sottolinea la dott.ssa Vivarelli.

LA SINDROME EMOLITICO-UREMICA ATIPICA

Nella maggior parte dei pazienti la SEUa presenta un esordio acuto e improvviso, spesso a seguito di un fattore scatenante, come un’infezione, un trauma, un forte stress o lo stato di gravidanza, ma ci sono anche casi in cui la malattia si manifesta in modo subdolo, nei quali la diagnosi risulta più difficoltosa”, spiega la dott.ssa Vivarelli. In generale, si tratta di una patologia complessa e multifattoriale, che non sempre si compone in un quadro clinico caratteristico. La SEUa dipende da una disregolazione della via alternativa del sistema del complemento, parte essenziale della nostra immunità innata. La mancanza di alcune proteine regolatrici – tipicamente dovuta a un’alterazione genetica – fa sì che il complemento bersagli erroneamente la superficie interna dei vasi sanguigni (endotelio), con conseguente infiammazione, adesione piastrinica e formazione di microtrombi. Questi coaguli, soprattutto nei vasi di calibro minore, ostacolano il flusso vascolare e distruggono meccanicamente i globuli rossi che li attraversano (anemia emolitica). I danni si manifestano principalmente a livello renale, ma possono coinvolgere molti altri organi come il cervello, il fegato, il cuore, i polmoni e l’apparato gastrointestinale.

MANIFESTAZIONI RENALI E TERAPIE FARMACOLOGICHE

“Come per la maggior parte dei sintomi della sindrome emolitico-uremica atipica, anche il coinvolgimento renale può essere estremamente variabile, sia per gravità che per frequenza delle manifestazioni”, spiega la dott.ssa Vivarelli. In genere, i pazienti che hanno un primo esordio acuto sono quelli che, in futuro, manterranno una prognosi impegnativa. “Spesso sono persone che hanno bisogno di essere trattate in un ambiente intensivo e di ricevere immediatamente un trattamento dialitico sostitutivo”, racconta la dott.ssa Vivarelli. La dialisi, tuttavia, non è l’unica opzione disponibile. Poiché tutte le manifestazioni della SEUa, incluse quelle renali, sono secondarie a un’attivazione incontrollata del complemento, l’utilizzo di farmaci in grado di inibire questo elemento del sistema immunitario ha cambiato radicalmente la storia naturale della patologia. “La risposta a questo tipo di trattamento per i pazienti affetti da sindrome emolitico-uremica atipica è generalmente molto positiva. L’utilizzo di questi farmaci nelle fasi iniziali della malattia annulla quasi completamente il rischio di arrivare all’insufficienza renale terminale”, afferma Vivarelli.

IL TRAPIANTO DI RENE

Nel caso in cui il danno renale sia ormai irreversibile, il paziente con SEUa viene candidato al trapianto d’organo. “Di solito si tratta di pazienti ‘storici’, che non hanno ricevuto in tempo utile il trattamento con i farmaci inibitori del complemento, o di pazienti ‘misconosciuti’, la cui diagnosi è arrivata tardivamente, quando ormai il rene era compromesso in modo irrecuperabile”, racconta la dott.ssa Vivarelli. “Per questo considero la diagnosi precoce come l’arma più potente di cui disponiamo per scongiurare questa evenienza”.

“Quando la causa dell’insufficienza renale terminale è la sindrome emolitico-uremica atipica, prima di procedere con il trapianto vero e proprio riteniamo necessario sottoporre il paziente a uno screening genetico”, spiega la dott.ssa Vivarelli. “È un passo assolutamente cruciale e indispensabile. A seconda della mutazione coinvolta, infatti, si può valutare il rischio di recidiva della malattia ed eventualmente programmare una terapia di profilassi con gli inibitori del complemento”. Le alterazioni a più alto rischio di recidiva sono quelle a carico del fattore H (CFH), una proteina prodotta dal fegato che gioca un ruolo importante nella regolazione della via alternativa del complemento. “In questi casi è consigliabile iniziare la terapia con gli inibitori del complemento già in sede di trapianto”, prosegue l’esperta. Altre mutazioni, come quella a carico della proteina cofattore di membrana (MCP), sembrano associate a forme di SEUa più ‘benigne’. In questi casi, la terapia profilattica non appare così indispensabile e si può decidere di intraprenderla o meno di volta in volta, sulla base delle caratteristiche del singolo paziente. Infine, ci sono alcune persone affette da SEUa, circa il 30%, in cui la malattia, pur essendo indiscutibile, non è associata a mutazioni genetiche note. Per questi pazienti il rischio di recidiva è moderatamente basso e, in genere, basta un’attenta sorveglianza post-intervento per scongiurare le complicanze. “Ovviamente - precisa la dott.ssa Vivarelli - non si tratta di regole ‘scolpite nella pietra’ ed è sempre opportuno prendere in esame ogni singolo caso prima di decidere in che direzione procedere. Inoltre, è bene ricordare che il paziente non è l’unico a doversi sottoporre allo screening genetico prima del trapianto: anche il donatore, soprattutto se si tratta di un familiare, va controllato”. Non sono rari, infatti, i casi in cui varianti patogenetiche della SEUa si riscontrino anche in assenza di sintomi.

Lo screening genetico pre-trapianto andrebbe effettuato anche quando l’insufficienza renale terminale è indubbiamente il risultato di una sindrome emolitico-uremica tipica (SEUt)”, precisa Vivarelli. “A volte, infatti, anche le forme di SEU causate da shiga-tossina [in cui la malattia è conseguente a un grave episodio di enterite causato da alcuni ceppi di Escherichia coli, N.d.R.] possono avere comunque una componente genetica sottostante”. Sapere che le due varianti della sindrome emolitico-uremica coesistono nello stesso paziente può essere determinante per l’esito del trapianto di rene: mentre la SEUt non tende a recidivare, infatti, la SEUa può essere associata a un rischio più o meno elevato di ricomparsa della malattia. “Conoscere preventivamente le condizioni in cui si opera è imprescindibile per garantire la buona riuscita dell’intervento”, evidenzia la dottoressa.

A parte queste piccole ma fondamentali attenzioni in più, il trapianto di rene nei pazienti affetti da sindrome emolitico-uremica atipica si effettua in maniera standard e non prevede un decorso post-operatorio diverso da quello dei pazienti affetti da altre patologie, eccezion fatta per l’eventuale profilassi con inibitori del complemento. “Negli ultimi anni, i costi ridotti e la sempre maggior praticità e semplicità di utilizzo di questi farmaci hanno reso quasi obsoleto il trapianto combinato di rene e fegato, suggerito come soluzione definitiva nei casi di coinvolgimento delle proteine regolatrici del complemento prodotte a livello epatico”, spiega Marina Vivarelli. “Oggi come oggi, per i pazienti affetti da SEUa anche il trapianto di rene dovrebbe diventare un’opzione remota”, conclude l’esperta. “Per questo motivo, la diagnosi precoce è la nostra priorità”.

 

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