Immaginiamo di trovarci all’interno di una villa con molte stanze: in un certo qual modo siamo in grado di spostarci da una stanza all’altra ma non le conosciamo tutte e, di conseguenza, non siamo in grado di muoverci con sicurezza all’interno della casa. Di conseguenza, pur non essendo completamente persi, non siamo davvero padroni di tutto lo spazio che ci circonda. Identificare una nuova mutazione che determini lo sviluppo di una malattia rara equivale ad aprire la porta di una nuova stanza in questa ipotetica casa, esplorando realtà capaci di aumentare il livello di conoscenza dell’ambiente che ci circonda. Nel contesto delle malattie ereditarie – e, in particolar modo, delle malattie ereditarie rare – le mutazioni che innescano la malattia rappresentano il dato più importante, il primo riportato sulla “carta d’identità” della patologia, sono molte e si celano in geni diversi, pertanto è essenziale individuarle tutte e stabilire il loro significato perché con la comprensione del genotipo si arriva più facilmente a dare un valore ai segni clinici della malattia e, in ultima analisi, ad applicare un trattamento mirato e di maggiore efficacia.

L’atrofia ottica di Leber (LHON) è una rara malattia che si contraddistingue per un improvviso calo dell’acuità visiva e che è causata da mutazioni nel DNA mitocondriale, trasmesso ereditariamente per via materna. La malattia colpisce in prevalenza soggetti di sesso maschile e può condurre alla cecità permanente. Sono state identificate più di 20 mutazioni che causano la malattia e le principali producono difetti nei geni della subunità del Complesso I della catena respiratoria mitocondriale (MT-ND1, MT-ND4 e Mt-ND6). L’atrofia ottica dei Leber è una malattia a penetranza variabile in cui si conserva strettamente la correlazione tra genotipo e fenotipo e questo rende essenziale la conoscenza del ventaglio di mutazioni che ne sono la causa. L’incontro tra l’equipe medica del Dipartimento di Patologia Mitocondriale e Neuromuscolare del Vall d'Hebron University Hospital di Barcellona guidata dalla dott.ssa Garcia-Arumì e Josè – il nome è inventato – un giovane paziente di origini rumene affetto da LHON, ha permesso di stabilire il valore clinico di una nuova mutazione legata a questa malattia.

Il caso di Josè è stato descritto nella recente pubblicazione apparsa sulla rivista BBA - Molecular Basis of Disease e, oltre alle caratteristiche del paziente porta in rilievo anche le analisi condotte dal team di ricercatori per stabilire il livello di patogenicità della nuova mutazione. Josè è stato vittima di un improvviso ed acuto calo dell’acuità visiva (20/800 all’occhio sinistro e 20/2000 all’occhio destro) ma gli esami a cui è stato sottoposto hanno subito escluso anomalie nel nervo ottico o a livello cerebrale. Parallelamente, la storia clinica del paziente ha portato alla luce analoghi problemi alla vista anche nella madre del soggetto il quale, a distanza di 6 mesi dal primo ricovero non ha riportato alcun tipo di miglioramento. Dopo una lunga serie di esami clinici, i medici del Vall d'Hebron University Hospital hanno eseguito alcuni esami genetici per indagare la presenza delle principali mutazioni associabili all’atrofia ottica di Leber senza ottenere riscontro. Tuttavia, sono stati in grado di identificare una nuova mutazione a livello del gene MT-ND1, mai riportata in precedenza e mai apparsa nel database Mitomap, il più accreditato database nel quale sono raccolte tutte le mutazioni ascrivibili a malattie come l’atrofia ottica di Leber. A questa scoperta ha fatto seguito un’approfondita sequenza di analisi con l’intento di stabilire il grado di conservazione filogenetica dell’aminoacido sostituito dalla mutazione ed il tipo di cambiamento da essa prodotto. Inoltre, ricorrendo alla tecnica dei cibridi, i ricercatori hanno studiato in vivo l’alterazione della funzionalità mitocondriale conseguente alla mutazione, evidenziando una riduzione nella crescita dei cloni contenti la mutazione a cui si è accompagnata una significativa riduzione dell’attività del Complesso I (quasi il 60%) e del potenziale di membrana mitocondriale. Tutto ciò ha confermato il significato di questa nuova mutazione, considerata ad elevato impatto patogenetico.

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