Il nome è lungo e un po’ complicato, tanto che anche chi ne è affetto preferisce chiamarla con una abbreviazione: LAM, che sta per Linfangioleiomiomatosi. Questa malattia rara, che colpisce prevalentemente donne durante l’età adulta, è una di quelle per cui ancora non ci sono terapie, né per rallentarne la progressione né, tanto meno, per una cura definitiva. Insomma, una volta fatta la diagnosi, nelle condizioni di oggi, i malati sanno che la malattia porterà ad un progressivo peggioramento delle loro condizioni, perché il male investe diversi tessuti come polmoni, reni, vasi linfatici e sanguigni, fino ad una fine inevitabile.  In genere, dal momento della diagnosi le aspettative di sopravvivenza sono in media di 10 – 20 anni al massimo. La malattia provoca dei fenomeni cistici nei tessuti, in particolare quelli polmonari, causando difficoltà respiratorie   tanto che talvolta il malato viene anche sottoposto a trapianto. Ma di fronte a questa malattia, come ad altre patologie rare che ancora non conoscono cura, la medicina non vuole arrendersi e tra i medici che guidano la  battaglia è difficile non trovare il nome del dottor Bruno Bembi che lavora al Santa Maria della Misericordia di Udine ed è coordinatore della rete delle malattie rare del FVG. È stato lui infatti, insieme all’associazione LAM Italia, ad organizzare la Prima Conferenza Europea sulla malattia, che si è svolta dal 1 al 3 ottobre scorso ad Udine, dove Bembi lavora presso l’Ospedale   eche ha visto una massiccia partecipazione di pazienti, familiari, medici, ricercatori e scienziati provenienti da tutto il mondo.

L’incontro è stata l’occasione per confrontarsi sullo stato attuale delle ricerche – che ne sono in Europa circa una decina concentrate in Francia e Germania – e sulle sperimentazioni. Particolare attenzione è stata data a delle sperimentazioni cominciate dopo la scoperta di due mutazioni genetiche, nei geni  TSC1 e TSC2 che sarebbero responsabili della proliferazione di cellule muscolari lisce, che nella LAM provocano la distruzione del tessuto polmonare. Partendo da questa individuazione genetica sono state condotte alcune sperimentazioni cliniche in America e ora anche in Europa.
Questi trial, su pazienti LAM, ma anche su pazienti affetti da ST Sclerosi Tuberosa, visto che spesso c’è una concomitanza tra le due malattia,  hanno testato degli immunosoppressori: il Sirolimus e l’ Everolimus che sono antibiotici  usati contro il rigetto post trapianto, e il Rad001, un farmaco oncologico, e i risultati sembrano essere incoraggianti, soprattutto per la capacità di inibire la proliferazione delle cellule LAM.
Da questo confronto internazionale di alto livello tra medici specializzati su questa patologia poco nota è emersa anche la possibilità, in alcuni casi, di individuare progetti comuni, di ‘fare network’ insomma per dare scacco alla malattia.
Anche per le associazioni dei pazienti è stata un’occasione molto importante vista la possibilità per gli italiani di confrontarsi con associazioni di pazienti provenienti da tutta Europea, USA, Australia e Nuova Zelanda e anche in questo caso pensare a progetti comuni, perché, soprattutto quando si è pochi – e cioè ‘rari’ – l’unione fa la forza.

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