Scoprire l’infezione primaria può prevenire la trasmissione madre- feto
Che cos’è l’infezione congenita da citomegalovirus (CMV)? Si può prevenire la trasmissione dalla madre al feto? Attualmente cosa si fa per individuare il rischio? È a seguito delle molte domande arrivate dai lettori – e in particolare dalle lettrici – dopo l’articolo del 14 marzo scorso, che abbiamo deciso di pubblicare un approfondimento.
L’articolo precedente parte da una questione: le attuali linee condivise a livello internazionale sconsigliano di effettuare uno screening di routine per individuare questa infezione nelle gestanti. Questo orientamento, però, comincia ad essere messo in dubbio dai recenti progressi fatti nell’ambito di diagnosi e prevenzione del contagio madre – feto e si ipotizza la realizzazione di programmi di screening nazionale. Di questo tema si occupa un articolo pubblicato a febbraio sull’American Journal of Perinatology.
“Vi è accordo - scrivono i due autori dell’università di Providence - sul fatto che il CMV congenito sia un importante problema di salute pubblica e che ridurre il tasso d’infezione rappresenti una priorità per la ricerca ostetrica”.
Le domande di fondo sono: fare o non fare test in gravidanza, quando e come farli, cosa fare nel caso in cui si scopra l’infezione.
Per prima cosa – spiegano gli autori - bisogna tener conto che per inserire un test di screening sarebbe necessario rispettare alcuni criteri condivisi, che sono i seguenti:
La malattia deve essere clinicamente importante, diffusa e ben caratterizzata;
Il test di screening deve essere sicuro, affidabile e valido;
Infine, l'intervento deve essere: efficace, conveniente e fattibile.
Sul primo di questi tre punti non ci sono particolari dubbi: la malattia è ormai piuttosto nota, clinicamente importante, ben definita e comune. Dopo anni di diagnosi senza una terapia disponibile, la sua storia naturale è conosciuta, così come la sua sostanziale morbosità/mortalità nel caso in cui non venga curata. E’ invece sui test migliori, ma soprattutto sul tipo di intervento, che ci sono ancora dibattiti e studi in corso, e su questi temi vale la pena di approfondire partendo da quanto sostiene la pubblicazione firmata dall’Università di Providence.
Il Test. Infezione primaria da citomegalovirus: come individuarla?
“Essendo provato che la malattia soddisfa i criteri per lo screening – scrivono gli autori - il passo successivo consiste nel valutare il test di screening in se stesso. La tecnica di screening basata sull’utilizzo della sieroconversione degli anticorpi IgG ed IgM in aggiunta all’avidità IgG è ben descritta. Il test è sicuro ed affidabile, ma non si sa ancora se verrebbe accettato o meno dalle donne incinte. Dato che solo una piccola percentuale della popolazione è tuttora cosciente di questa condizione, la percezione materna dei rischi e dei benefici dello screening e del trattamento non può essere ancora adeguatamente valutata”.
L’ultima considerazione a proposito del programma di screening riguarda il rapporto costo-efficacia e la fattibilità dell’intervento proposto. Le possibili strategie di screening per l’infezione primaria materna possono essere tre: lo screening universale, lo screening su donne ad alto rischio e lo screening associato ai risultati dei test fetali agli ultrasuoni.
Secondo recenti studi fatti usando modelli di analisi decisionali per valutare gli esiti neonatali con il trattamento CMV HIG, lo screening universale sembra essere la migliore strategia per quanto riguarda il rapporto costo-efficacia. Tuttavia questi risultati non sono basati su dati provenienti da uno studio randomizzato controllato. Oltre a quelli in corso, si rendono necessari altri studi in merito al rapporto costo-efficacia.
L’Intervento. Cosa si può fare se la madre contrae l’infezione primaria in gravidanza?
Sebbene siano stati fatti significativi passi avanti, vi sono ancora molte lacune riguardo alla conoscenza dell’intervento ed è questo il maggior freno, attualmente, all’introduzione di uno screening universale nelle donne in gravidanza.
Tuttavia i programmi di screening dovrebbero essere sviluppati solo dopo che il trattamento si sia mostrato efficace. Per esempio, se uno studio su donne incinte sieronegative effettuato su larga scala dimostrasse l’efficacia delle modifiche di comportamento nella prevenzione dell’infezione materna, uno screening sierologico nei primi tempi della gravidanza rappresenterebbe l’opzione più logica da seguire. Nel frattempo, è di fondamentale importanza seguire attentamente le raccomandazioni dell’ACOG e del CDC e continuare ad informare le persone a rischio in merito al virus, oltre ad eseguire test sugli individui che presentano i sintomi della malattia attiva.
“Sembra – conclude lo studio americano – che non sia ancora giunto il momento di uno screening universale del siero per la diagnosi dell’infezione materna da CMV ma le ricerche in corso potrebbero portare a modificare in un prossimo futuro questo orientamento”.
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