Quindici anni in attesa per una diagnosi di acromatopsia

La patologia del giovane è stata identificata grazie al lavoro degli specialisti della Clinica per le Malattie Rare non Diagnosticate dell’Università dell’Indiana

Immaginate un mondo senza colori: non avere idea di cosa siano il blu del cielo o il rosso acceso di un tramonto, ma poter vedere solo infinite sfumature di grigio. È questa la vita del giovane Evan, sedicenne statunitense la cui esistenza è sempre stata contrassegnata da una marcata riduzione della vista. Quel poco che Evan riusciva a vedere del mondo gli si presentava come in una vecchia pellicola degli anni Quaranta: un infinito bianco e nero che copre ogni tono di colore. Se oggi Evan conosce il nome della patologia che lo affligge fin da quando era neonato è grazie all’impegno dei ricercatori dell’Undiagnosed Rare Disease Clinic (URDC), coordinati dalla dottoressa Erin Conboy e dal dottor Francesco Vetrini, degli autentici investigatori del DNA.

Del prezioso lavoro svolto presso questa speciale Clinica, operante nell’ambito della Scuola di Medicina dell’Università dell’Indiana, avevamo già parlato qualche tempo fa: oggi abbiamo deciso di raccontarne i frutti, riportando la storia di un ragazzo – Evan, appunto – che si è rivolto al team di specialisti dell’URDC dopo anni di frustrazione per il mancato inquadramento del suo problema alla vista.

Quando il nostro bambino aveva solo due mesi di vita ci accorgemmo che in lui qualcosa non andava”, racconta la mamma Stephanie. “Non vedeva bene. Non riusciva a mettere a fuoco gli oggetti e muoveva gli occhi di continuo, anche senza volerlo, senza poterli controllare”. I genitori lo avevano portato da svariati specialisti senza mai riuscire ad ottenere una risposta e, man mano che gli anni passavano e le difficoltà di Evan crescevano, temevano che il loro figlio sarebbe diventato cieco. Col tempo Evan ha fatto ricorso a un’infinita serie di lenti da vista di ogni genere, nonché di occhiali dotati di filtri speciali per cercare di recuperare la visione a colori, ma nulla funzionava. I genitori avevano anche tentato di insegnargli l’alfabeto Braille ma il ragazzo lo detestava e non riusciva ad applicarsi.

Poi, finalmente, l’incontro con Erin Conboy, che invitò Evan e la sua famiglia nell’Indiana per una visita presso l’Undiagnosed Rare Disease Clinic, dove svolge la sua attività insieme a Vetrini. Lì Evan è stato preso in carico da un’equipe multidisciplinare composta da oftalmologi, esperti di malattie rare, laboratoristi, analisti e soprattutto genetisti. “Insieme a medici specializzati nelle diverse branche della medicina, i consulenti genetici rappresentano uno dei pilastri dell’assistenza medica completa e integrata che offriamo”, afferma il dottor Francesco Vetrini. “Il loro ruolo principale consiste nel procurarsi informazioni sulla storia familiare dei pazienti e interpretarle alla luce delle problematiche mediche che essi presentano, valutando i meccanismi ereditari delle possibili malattie, facilitando il processo decisionale in merito alle opzioni sui test genetici e, infine, partecipando alla spiegazione dei risultati di tali test nel più ampio contesto del quadro familiare”.

Sin da piccolo Evan era stato visitato da vari oculisti, che avevano riscontrato anomalie nel fondo oculare”, spiega Vetrini. “I coni, che insieme ai bastoncelli rappresentano le preziose strutture dell’occhio deputate alla visione, non funzionavano a dovere. Considerati i sintomi c’era il sospetto che potesse trattarsi di acromatopsia ma per la conferma diagnostica erano necessari i test genetici”. Questa patologia - che rientra nel gruppo delle distrofie retiniche - è caratterizzata da riduzione della visione centrale, fotofobia (intolleranza alla luce), nistagmo (movimento rapido e incontrollato degli occhi) e, ovviamente, una completa incapacità di percepire i colori. Evan era costretto a indossare pesanti occhiali da sole perché non tollerava la luce e la sua vista era ridotta: tutto ciò ha avuto un profondo impatto sulla sua infanzia, impedendogli di avere una vita sociale come quella dei suoi coetanei.

Nel 2019 Kathryn Haider, l’oftalmologa che aveva visitato Evan, ha avviato una clinica di genetica oculare presso il Riley Hospital for Children dell’Università dell’Indiana, chiamando a collaborare anche le dottoresse Erin Conboy e Katie Anderson, quest’ultima in veste di consulente genetica: il loro obiettivo era dare vita a una realtà dove si studiassero nel dettaglio i disturbi ereditari dell’occhio e dove, attraverso le più avanzate tecniche di sequenziamento del DNA, fosse possibile venire a capo di situazioni complesse come quella di Evan. Il sospetto che il bambino fosse affetto da acromatopsia era abbastanza solido ma, dato che questa malattia ha un’ereditarietà autosomica recessiva, per la conferma diagnostica era necessario identificare una mutazione in entrambe le copie del gene CNGA3: purtroppo, l’analisi dell’esoma a cui Evan fu sottoposto ne identificò soltanto una.

È a questo punto che il ragazzo giunse all’URDC, dove fu sottoposto a un più esteso test di sequenziamento dell’intero genoma. “Grazie a questa procedura siamo stati in grado di esplorare non solo la parte codificante del genoma di Evan ma tutto il suo DNA, comprese le regioni cosiddette non codificanti”, spiega il dottor Francesco Vetrini. “In tal modo abbiamo scoperto che l’alterazione mancante si celava proprio in quello che viene definito “DNA spazzatura”, che in realtà spazzatura non è: lo si potrebbe definire la materia oscura del genoma, dal momento che rappresenta quella parte del DNA che non codifica per alcuna proteina ma nella quale si possono comunque ritrovare errori o mutazioni dalle ricadute importanti sulla funzionalità di organi e tessuti”.

Caso risolto: la conferma diagnostica di acromatopsia ha permesso a Evan di iniziare un percorso di riabilitazione professionale grazie al quale - proprio in virtù di una diagnosi specifica e definitiva - può partecipare a programmi come il “Vocational Rehabilitation Program”, in cui sono compresi i costi di occhiali, lenti a contatto e lenti dotate di speciali filtri per ridurre l’intensità della luce. Evan potrà inoltre beneficiare di uno speciale sistema telescopico che durante la guida in auto migliora la nitidezza della visione da lontano. “Pensavamo che non avrebbe mai potuto guidare autonomamente”, commenta la mamma di Evan. “Adesso ci è più facile immaginare per lui una vita indipendente. Per un genitore si tratta di un enorme sollievo”.

Ultimo ma non trascurabile vantaggio di aver ricevuto una diagnosi definitiva è che, da ora, Evan potrà essere ammesso a partecipare a eventuali sperimentazioni cliniche sull’acromatopsia, nella speranza che possa emergere un trattamento, come ad esempio un protocollo di terapia genica, in grado di invertire gli effetti della malattia sulla sua vista.

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