Nei primi tre pazienti trattati si è osservato un aumento della proteina la cui carenza è alla base della patologia. Ora si attendono i dati funzionali

Nel corso di una conferenza a fine febbraio, Sarepta Therapeutics ha alzato il velo sui risultati ottenuti dai primi 3 pazienti arruolati nello studio clinico di Fase I/IIa che valuta la terapia genica sperimentale MYO-101 per il trattamento della distrofia muscolare dei cingoli di tipo 2E (LGMD2E), una patologia che rientra nel gruppo delle distrofie muscolari dei cingoli (LGMD). Queste malattie sono caratterizzate da una progressiva debolezza muscolare associata ad un’inarrestabile degenerazione dei muscoli del cingolo pelvico e scapolare.

In linea generale, le distrofie dei cingoli insorgono relativamente presto (quasi sempre prima dei 10 anni) e incidono pesantemente sulla qualità di vita dei pazienti, conducendo a una rapida perdita della capacità di deambulazione. L’aspetto più grave è che arrivano a colpire il muscolo cardiaco mettendo a serio rischio la vita dei pazienti, la cui aspettativa di vita non va di molto oltre i 30 anni. La distrofia dei cingoli di tipo 2E si trasmette per via autosomica recessiva ed è provocata da mutazioni nel gene SGCB che codifica per il beta-sarcoglicano, il quale risulta direttamente collegato ad un'altra proteina, la distrofina. L’assenza di beta-sarcoglicano, quindi, implica anche una mancanza di distrofina, e ciò produce un danno nel meccanismo della contrazione muscolare.

Al momento attuale non è ancora disponibile una terapia specifica per le LGMD ma grazie alla collaborazione tra i ricercatori di Sarepta e Myonexus Therapeutics, il futuro dei malati potrebbe cambiare. Infatti, in uno studio di Fase I/IIa che si svolge presso il Nationwide Children's Hospital di Columbus (Ohio, USA), si sta testando l’efficacia e la sicurezza della terapia genica MYO-101 messa a punto da Myonexus. Il trattamento si basa su un vettore virale (AAVrh.74) che contiene una copia sana del gene SGCB e che, sotto la guida di un promotore (MHCK7), lo veicola all’interno delle cellule. Una singola infusione endovenosa della terapia MYO-101 permetterà la produzione di una versione intera della proteina mancante.

Lo studio prevede l’arruolamento di un totale di 9 pazienti di età compresa tra 4 e 15 anni con una mutazione del gene SGCB in entrambi gli alleli e un punteggio superiore al 40% nel test del cammino in 100 metri. Dopo 60 giorni dall’infusione di MYO-101, nei primi 3 pazienti l’analisi immunoistochimica delle prime tre biopsie ha permesso la valutazione del livello di espressione del beta-sarcoglicano mettendo in luce una frazione media di fibre muscolari nelle quali risulti espresso il beta-sarcoglicano pari al 51% (63% nel primo paziente, 49% nel secondo e 42% nel terzo).

L’obiettivo principale dello studio è verificare la non tossicità del farmaco, che in questo caso è un vettore virale, ma soprattutto la capacità del vettore di far esprimere correttamente il beta-sarcoglicano in quantità che, secondo dati di letteratura, possano correlarsi a un miglioramento della funzione muscolare”, chiarisce il prof. Yvan Torrente, neurologo presso l’ospedale Maggiore Policlinico di Milano e direttore del Laboratorio di Ricerca sulle Cellule Staminali del Centro “Dino Ferrari” dell’Università degli Studi di Milano. “Per tale ragione, la soglia minima alla quale arrivare è stata fissata al 20% di espressione della proteina e in tutti e tre i pazienti è stata raggiunta e superata. È un risultato estremamente positivo e incoraggiante”. La conferma ottenuta in Western-blot indica un livello di espressione medio del 36,1% testimoniando il buon livello di trasfezione ma, soprattutto, di espressione del beta-sarcoglicano. Ad ulteriore riprova degli ottimi risultati ottenuti, il livello medio di creatina fosfochinasi (CPK) è sceso di circa il 90% in tutti e tre i pazienti. L’abbassamento dei livelli di CPK – un enzima che concorre alla produzione di creatina – è uno degli endpoint secondari dello studio, dal momento che il rilascio nel circolo ematico di CPK è un indicatore di danno muscolare.

Un aspetto molto importante è l’assenza di effetti collaterali rilevanti, tranne in un paziente in cui il valore elevato delle transaminasi ha richiesto la somministrazione di cortisone”, prosegue Torrente. “Questa, di fatto, rappresenta una prima dimostrazione della fattibilità della terapia”. Nella sperimentazione non è stato osservato alcun crollo del conteggio delle piastrine e gli esami di laboratorio eseguiti hanno confermato la sicurezza del trattamento. Ora, sulla base dei risultati ottenuti, il protocollo di studio prevede la possibilità di valutare altre dosi del farmaco in 6 pazienti successivi.

Quella presentata non è un’analisi definitiva e non fornisce evidenze funzionali dal punto di vista del guadagno di forza muscolare, cosa che non era nemmeno tra gli obiettivi principali dello studio”, conclude Torrente. “La domanda se l’incremento di beta-sarcoglicano abbia un impatto positivo sulla vita dei pazienti esige ancora una risposta”. Per scoprirlo, sarà dunque necessario aspettare ulteriori dati, ma i risultati preliminari della sperimentazione hanno rispecchiato i valori registrati negli studi preclinici.

Siamo estremamente soddisfatti di questo risultato”, aggiunge Beatrice Vola, presidente di GFB Onlus, l’associazione da anni schierata al fianco di coloro che sono affetti distrofia muscolare dei cingoli. “Le aspettative per questa straordinaria terapia genica sono alte e grande è la speranza dei pazienti di poterne disporre quanto prima”.

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