Professoressa Fabrizia Cesca

La prof.ssa Fabrizia Cesca: “Stiamo cercando di comprendere al meglio i meccanismi alla base della patologia, cosicché si possa tentare di sviluppare una terapia mirata”

Le paralisi spastiche ereditarie sono un gruppo di patologie ancora poco compreso ma di grande interesse. Tra queste, la sindrome SINO (acronimo dei termini inglesi Spastic paraplegia, Intellectual disability, Nystagmus and Obesity), si distingue in quanto facente parte delle cosiddette forme complesse. Difatti, essa associa a tratti di spasticità e obesità alcuni sintomi neurologici propri dei difetti del neurosviluppo, quali il nistagmo (rapido movimento involontario degli occhi). La sindrome SINO è causata da mutazioni a carico del gene KIDINS220, il quale codifica per un’omonima proteina essenziale nello sviluppo neuronale dell’embrione durante le diverse fasi della gestazione.

Al fine di comprendere meglio i meccanismi che, attraverso versioni mutate della proteina KIDINS220, determinano l’insorgenza della SINO, abbiamo intervistato la prof.ssa Fabrizia Cesca, ricercatrice e docente in Fisiologia presso l’Università degli Studi di Trieste. “KIDINS220 è essenziale per lo sviluppo sia neurologico che cardiovascolare dell’embrione”, afferma Cesca. “La dimostrazione di ciò risiede nel fatto che i topi che non esprimono questa proteina mostrano deficit cardiaci e cerebrali comparabili con la sintomatologia umana”.

Fin dai tempi del dottorato di ricerca presso il laboratorio del prof. Giampietro Schiavo, al Cancer Research UK London Research Institute (Londra, Regno Unito), la professoressa Cesca si è concentrata sul ruolo della proteina KIDINS220 nel processo di neurosviluppo, riuscendo a identificarla prima ancora che fosse associata alla patologia. “L’interesse della comunità scientifica per questa specifica proteina è nato prima ancora che venisse riconosciuta come causa della SINO”, conferma Cesca. “La prima pubblicazione che ha associato KIDINS220 a questa patologia è apparsa sulla rivista Human Molecular Genetics e, in tale occasione, gli autori hanno riportato la presenza di mutazioni disfunzionali di KIDINS220 in tre pazienti. Questo lavoro è stato fondamentale, poiché per la prima volta la comunità scientifica ha potuto correlare la proteina alla sindrome SINO, dando così un nome ai sintomi riportati dai malati”.

Ciononostante, se ottenere una relazione causa-effetto tra la mutazione del gene KIDINS220 e la sindrome SINO ha costituto un grande balzo avanti, elaborare strumenti utili alla diagnosi della malattia continua a rimanere una sfida. “La soluzione - aggiunge Cesca - sarebbe quella di effettuare un sequenziamento del DNA ad ampio spettro per ogni paziente che aspetta la diagnosi, ma i costi crescerebbero notevolmente e non è sempre possibile. Basti pensare che solo in Italia, da quando il gene KIDINS220 è stato incluso tra gli ‘osservati speciali’, sono stati trovati circa 15 pazienti. Ciò ci fa supporre che ci possano essere molti più malati di quelli attualmente noti”.

A questo punto entrano in gioco una robusta conoscenza della malattia e un’adeguata sensibilizzazione sul tema e, nel caso della SINO, tutto ciò ha una valenza enorme, visto che i sintomi della patologia insorgono con intensità diverse e a differenti età: in questo contesto, raccogliere più informazioni possibili ha un’importanza cruciale. Spesso, nel caso di patologie rare, sono le stesse associazioni di pazienti che svolgono un ruolo di interfaccia tra ricercatori e medici, per uno scambio di informazioni di concreta utilità: nel caso della SINO si è costituito un gruppo Facebook dove i genitori dei pazienti condividono dati e referti medici e possono contattare gli esperti del settore, avviando un dialogo diretto con gli stessi.

Nel frattempo, la ricerca sulla malattia prosegue senza sosta. Attualmente, al mondo esistono solo due modelli sperimentali di malattia causata da deficit di KIDINS220, uno dei quali è stato sviluppato proprio grazie al lavoro svolto a Londra dalla professoressa Cesca. Ulteriori modelli cellulari sempre più avanzati sono allo studio ma, sebbene sia ancora molta la strada da fare per comprendere appieno tutti i meccanismi alla base della SINO, la ricerca fin qui svolta ha permesso di partire in posizione di vantaggio. “Stiamo lavorando allo scopo di perfezionare le linee cellulari, in modo da poter riprodurre specifiche mutazioni presenti nei pazienti e comprendere ulteriori aspetti della malattia”, prosegue Cesca. “Sicuramente, parlare di terapia appare purtroppo ancora futuristico. La strategia che riteniamo più promettente è quella di caratterizzare al meglio quali meccanismi cellulari siano deficitari nei pazienti che non esprimono KIDINS220 e provare una terapia che agisca in maniera mirata”. Approcci simili sono già in uso per altre patologie e sembrano rappresentare un’opzione efficace per molte condizioni di natura genetica come la SINO.

Il gruppo di studio della prof.ssa Cesca collabora da anni con il prof. Filippo Maria Santorelli, dell’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa), e l’identificazione di nuovi pazienti SINO in Italia è avvenuta proprio grazie allo screening effettuato in questo contesto. “Con le famiglie dei pazienti abbiamo sviluppato un ottimo rapporto”, racconta Cesca. “Sono loro stesse a comunicare con medici curanti e accademici, ruolo non sempre facile viste le barriere geografiche e linguistiche a livello globale”. La lotta a patologie come la SINO richiede, dunque, una grande profusione non solo di risorse intellettuali ma anche di tecniche sofisticate, portando in primo piano l’annoso problema di reperire fondi per la ricerca: la rarità di questa sindrome rende difficile ottenere i necessari finanziamenti, perciò è fondamentale procedere con un’opera di sensibilizzazione sulla SINO, promuovendo il dialogo tra ricercatori e clinici, con il fine ultimo di migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Leggi anche: "Paralisi spastica ereditaria infantile, usare l’intelligenza artificiale per studiare le mutazioni associate".

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