Alla scoperta hanno contribuito diversi centri di ricerca italiani, come l'Istituto G. Gaslini di Genova, l'Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia, l'Ospedale di Parma, L'Istituto di Tecnologie Biomediche (ITB-CNR) di Milano e le Università di Parma, Bari, Milano e Brescia

Chi abbia familiarità con la scrittura in 'html' sa bene che anche un solo piccolo errore in una stringa può stravolgere l'estetica e la funzionalità della pagina web che si sta cercando di creare. Allo stesso modo, un errore nella sequenza di DNA di un qualsiasi cromosoma può provocare l'insorgenza di patologie come la sindrome di DiGeorge, che, oltre ad essere piuttosto severe, si associano ad una quantità incredibile di complicanze a carico di numerosi organi. In uno studio da poco pubblicato sull'insigne rivista The New England Journal of Medicine, un team internazionale di ricercatori è riuscito a risalire al gene collegato alle malformazioni congenite del rene e delle vie urinarie che si osservano frequentemente in questa sindrome.

Conosciuto anche come sindrome da delezione 22q11.2, questo raro disordine cromosomico (con un'incidenza a livello mondiale compresa tra 1:4000 e 1:6000) trae origine dalla delezione di una frazione del cromosoma 22 nel quale è contenuta una sequenza di circa 40 geni coinvolti nel corretto sviluppo di organi vitali come cuore e reni. Infatti, gli individui affetti da sindrome di DiGeorge presentano una corposa sintomatologia che inizia quasi sempre con le anomalie di chiusura e formazione del palato – con conseguenti problematiche di linguaggio ed alimentazione. Sono comuni anche i dismorfismi facciali e corporei, la suscettibilità alle malattie autoimmuni, il calo dell'udito, i problemi alla tiroide con caduta dei livelli ematici di calcio, i disturbi psichiatrici e i deficit intellettivi, ma rischiano di essere molto serie le complicazioni a livello cardiaco, renale e gastrointestinale. In particolare, negli anni scorsi ricercatori sono riusciti ad associare le problematiche cardiache congenite all'assenza di uno specifico gene (tbx1) e oggi, in uno studio pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine, un'equipe internazionale di ricercatori – della quale fanno parte anche tre gruppi italiani, coordinati dal prof. Gian Marco Ghiggeri, direttore della UOC di Nefrologia dell'Istituto Gaslini di Genova – è riuscita a risalire al gene collegato alla malattia renale che spesso si manifesta nei pazienti con sindrome di DiGeorge. Si tratta del gene crkl, identificato studiando una casistica di circa 2.666 individui (molti dei quali provenienti dall'Italia) con anomalie congenite del rene e delle vie urinarie.

 “E' affascinante come, studiando un'ampia coorte di individui con anomalie congenite renali, abbiamo svelato la causa della malattia renale della sindrome di DiGeorge” – afferma Ghiggeri - “In parallelo si è chiarito che molte delle malformazioni renali di frequente osservazione presentano anche danni cerebrali e sono causate da modifiche cromosomiche simili a carico di altre zone del DNA”. I ricercatori, infatti, hanno localizzato i geni correlati alle disfunzioni renali in una regione contenente 9 geni e, dopo aver indagato la funzionalità di ognuno su embrioni di Zebrafish, si sono ritrovati con 3 potenziali geni sospetti (snap29, aifm3 e crkl) arrivando poi a comprendere che solo la perdita di crkl è di per sé sufficiente per indurre le malformazioni congenite a carico del rene e delle vie urinarie. La prova sul modello murino ha confermato la scoperta, che la comunità scientifica ha accolto con grande entusiasmo. Questo perché la sindrome di DiGeorge richiede una presa in carico multidisciplinare, coinvolgendo gli esperti di diversi ambiti medici oltre a quello nefrologico, e perché la malattia, pur essendo diagnosticabile sulla base del quadro clinico, può essere confermata solo attraverso il ricorso a test di genetica post-natale (come la FISH o l'array-CGH).

 “Questo lavoro rappresenta un'importante passo avanti per la comprensione delle basi genetiche della malattia, che colpiscono non solo i pazienti affetti da sindrome di DiGeroge ma anche il resto della popolazione” – conclude il prof. Simone Sanna-Cerchi, della Columbia University di New York, che ha coordinato l'imponente lavoro di ricerca. I risultati ottenuti determinano, infatti, un notevole progresso nel quadro del riconoscimento precoce della malattia e, quindi, della prevenzione del danno a carico degli organi coinvolti.

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