ordinanza lavoro notturno caregiver

Il provvedimento, pur non essendo fonte normativa, apre verso la tutela di chi assiste persone con disabilità a prescindere dalla connotazione di gravità

La tutela giuridica del caregiver familiare, abbiamo già avuto modo di parlarne, è uno degli aspetti sui cui l’Italia è ancora deficitaria, tanto da aver ricevuto un richiamo da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, e che la Ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli ha inserito tra le priorità del suo dicastero.

Non potendo ancora fare riferimento a una normativa strutturata, le tutele, in particolare quelle sul posto di lavoro, sono per ora ricavabili da quanto previsto dalla Legge 104/92 e dai diversi Contratti Collettivi Nazionali. A questi si è aggiunta di recente un’interessante ordinanza della Corte di Cassazione (Ord. n. 12649/2023) relativa alle prestazioni di lavoro in orario notturno da parte di lavoratori che si prendano cura di un familiare con disabilità. L’ordinanza non può essere assunta come fonte normativa ma rappresenta, in ogni caso, un precedente giurisprudenziale molto importante.

In sostanza, la Corte di Cassazione ha stabilito che il lavoratore che si prenda cura (vedremo poi che non è necessario che il familiare sia “a carico”) di una persona con disabilità non è obbligato a svolgere attività durante l’orario notturno, anche nel caso in cui l’handicap riconosciuto non abbia connotazione di gravità. Non solo, la Corte si spinge anche oltre, stabilendo che anche il trasferimento del lavoratore senza il suo consenso è vietato anche se la disabilità del familiare di cui si prende cura non è grave (nonostante la condizione di gravità sia prevista esplicitamente dalla norma).

La vicenda sottoposta al giudizio della Corte, è quella di un lavoratore che si prende cura della madre disabile, con handicap riconosciuto ai sensi dell’Art. 3 comma 1 della Legge 104. La motivazione addotta dalla datrice di lavoro per negare l’esenzione dal lavoro notturno voleva sostenere che “solo in caso di accertato stato di gravità dell’handicap può ritenersi provata e necessaria un’assistenza sistematica ed adeguata, effettiva appunto, alla persona del disabile tale da giustificare la compressione di contrapposti obblighi lavorativi”. La Cassazione si mostra allineata con quanto già stabilito dal Giudice di primo grado e dalla Corte d’Appello, che avevano accertato il diritto del lavoratore nei confronti della datrice di lavoro a non prestare lavoro notturno “sino a quando […] avrà a suo carico la madre disabile ai sensi delle Legge n. 104 del 1992”.

La datrice di lavoro, nel corso del processo, ha sostenuto che la sentenza impugnata e su cui la Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere, “avrebbe omesso di considerare che il lavoratore non aveva mai offerto la prova dell’assistenza (sistematica e adeguata) effettivamente garantita alla persona con disabilità perché “a carico”, tale da determinare una maggiore difficoltà nella vita lavorativa, non essendo sufficiente la sola circostanza della convivenza, di per sé sterile a tal fine, se non commisurata al grado di impegno (assistenza) che la condizione (gravità) di handicap può comportare”. La pronuncia della Corte sulla questione è però chiara: il requisito “a carico” non influisce in alcun modo sulla gravità della disabilità.

Articoli correlati

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

30 giorni sanità

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Con il contributo non condizionante di

Partner Scientifici

Media Partner


Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni