Elisa Costantino (Disability Pride Network Torino): “Buona partecipazione ma ancora troppo ‘abilismo’. Con il Comune abbiamo in programma l’avvio di un tavolo di lavoro comune”
Perché la disabilità non resti una cosa di pochi, per creare maggiore consapevolezza e per promuovere l’accessibilità e l’inclusione. Per questi e molti altri motivi domani, sabato 13 maggio 2023, Genova scende in piazza per il suo primo Disability Pride, l’evento dedicato all’orgoglio delle persone con disabilità.
Come già abbiamo avuto modo di raccontare, l’appuntamento con il Disability Pride toccherà quest’anno tre città italiane: è partito da Torino il 15 aprile, domani raggiungerà Genova e il 10 e 11 giugno sarà a Milano. Proprio sull’esperienza piemontese, per raccontare la genesi dell’iniziativa e gli obiettivi immaginati e raggiunti, abbiamo fatto una chiacchierata con Elisa Costantino, una giovanissima studentessa che è entrata a far parte del Disability Pride Network e ha partecipato all’organizzazione dell’evento.
Elisa ha 23 anni, studia Politiche e servizi sociali all’Università di Torino ed è anche un’attivista. Nell’ambito della sua esperienza universitaria, infatti, Elisa, che è affetta da atrofia muscolare spinale (SMA), ha fondato con alcuni compagni ed è ora referente di un collettivo studentesco di persone disabili e neurodivergenti, che combatte la discriminazione delle persone con disabilità e l’abilismo.
Elisa, com’è nato il tuo coinvolgimento nell’organizzazione del Disability Pride di Torino?
Una delle ragazze che fanno parte di “Mai ultimə” [questo il nome del collettivo, N.d.R.], è stata coinvolta dalla Cellula di Torino dell’Associazione Luca Coscioni, che si è fatta promotrice dell’evento, ed è così che, insieme a tante altre realtà attive in Piemonte, abbiamo partecipato per prima cosa alla stesura di un Manifesto che è stato poi presentato a conclusione della parata. Si tratta di un documento molto bello in cui associazioni, start-up a vocazione sociale e liberi cittadini hanno riunito argomenti, idee e prospettive sull’ampio tema della disabilità e della neurodivergenza. Raccoglie davvero tutte le istanze possibili.
Com’è nata l’idea di organizzare un evento dedicato all’orgoglio delle persone con disabilità? Con quali obiettivi?
L’obiettivo principale di iniziative come questa è quello di far comprendere a quante più persone possibili che noi [persone con disabilità, N.d.R.] non siamo solo degli “sfigati” ma che l’“orgoglio disabile” esiste. Il movimento è nato negli Stati uniti negli anni ’90, quindi l’Italia ci sta arrivando con un ritardo non trascurabile, però, come si dice, meglio tardi che mai.
Che tipo di riscontro avete avuto fino a ora? Non solo dalle istituzioni ma anche dalla società civile?
Sul piano della partecipazione il riscontro è stato buono, con circa 1.000 persone che hanno sfilato per la via della città. Come in tutte le cose, tuttavia, ci sono stati sia pro che contro. Il pro è stato senza ombra di dubbio la visibilità, ma di contro abbiamo anche ricevuto opinioni e commenti persino molto offensivi, come per esempio l’appellativo “pride degli storpi” per identificare la manifestazione. Inoltre, quello che si è notato è ancora troppo ‘abilismo’ nel modo di pensare. Solo per fare un esempio: ha partecipato al corteo anche un’associazione di persone con sindrome di Down che ad un certo punto si sono messe a ballare a ritmo di musica, attirando commenti del tipo “che carini”. È chiaro che in quel momento, vista la presenza di musica forte, ballare rappresentava l’attività più naturale e non avrebbe dovuto essere rilevata con particolare piaggeria perché a ballare erano persone con disabilità.
Sul piano organizzativo, una delle criticità maggiori che ho rilevato, purtroppo, è legata alle limitazioni connesse alla scarsa accessibilità. Diciamo che per essere la prima volta posso comprendere le difficoltà, ma il posizionamento di un solo interprete LIS al di sopra di un furgone in mezzo a 1.000 persone non ha consentito, solo per fare un esempio, a tutti di vederlo. Anche per le carrozzine, poi, il pavimento e i dislivelli non erano dei migliori.
Sul piano del confronto con le istituzioni, dopo le frizioni avute con Regione Piemonte in occasione dell’evento di quest’anno, è in programma l’apertura di un tavolo di lavoro con il Comune di Torino, che al momento si è reso disponibile a un confronto anche se operativamente siamo ancora un po’ indietro.
L’evento, fin dalle prime edizioni itinerante, ha toccato molte città d’Italia ed è arrivato quest’anno ad avere un’edizione nazionale – quella Milanese – ma anche alcuni appuntamenti dislocati altrove (Torino e Genova). L’obiettivo è quello di raggiungere una capillarità sempre crescente o di puntare a un evento grandissimo di riferimento per tutta la nazione?
Nasceranno dei Disability Pride in tutte le città e sicuramente ci sarà anche l’anno prossimo a Torino. L’obiettivo è coinvolgere direttamente, un po’ alla volta, tutte le città, per abbattere i problemi logistici di trasporto e quelli di assistenza.
IL MANIFESTO DEL DISABILITY PRIDE DI TORINO
Tante le istanze portate alla luce attraverso il Manifesto che è stato condiviso da tutte le realtà che hanno contribuito all’organizzazione dell’evento torinese: il riconoscimento del ruolo dei caregiver familiari, l’applicazione uniforme sul territorio nazionale della legge 112/2016 (cosiddetta del “Dopo di noi”), la definizione e l’istituzionalizzazione di progetti di vita indipendente, un aggiornamento costante nei nomenclatori tariffari e l’adeguamento ai livelli Essenziali di Assistenza (LEA), una verifica capillare dello stato di attuazione dei Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA) e del livello di accessibilità dei trasporti, delle strutture ricettive turistiche e culturali ma anche di software e applicazioni, l’abbattimento dei preconcetti che impediscono alle persone con disabilità di poter esplorare liberamente le sfumature dell’affettività e della sessualità e l’introduzione di politiche attive per l’inclusione nel mondo della scuola e in quello del lavoro.
Alla base di tutto questo – mette in luce molto efficacemente il Manifesto – dovrebbe esserci la creazione di una cultura della diversità che parta dalla base che tutti siamo abili a fare delle cose e non abili a farne delle altre, valorizzando le specifiche competenze. Per far questo, però, è necessario ripartire dalla definizione di disabilità che dà l'ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute): "Difficoltà nel funzionamento a livello fisico, personale o sociale, in uno o più domini principali di vita, che una persona in una certa condizione di salute trova nell’interazione con i fattori contestuali".
IL DISABILITY PRIDE DI GENOVA
La manifestazione di domani è aperta a tutta la cittadinanza e organizzata dalla community Telegram Genova solving for all, in collaborazione con la rete nazionale Disability Pride Network e con il patrocinio di Comune e Regione Liguria. Per tutti gli interessati, il ritrovo dei manifestanti è previsto a partire dalle 17.45 in via Fanti d’Italia con un corteo in partenza alle 18.15 che attraverserà via Balbi, piazza della Nunziata, via Cairoli, via Garibaldi, piazza delle Fontane Marose e via XXV Aprile e si fermerà in piazza De Ferrari, dove saranno allestiti alcuni stand e dove ci sarà uno spettacolo musicale.
Per tutti i singoli cittadini o le associazioni che fossero interessati a far parte del Disability Pride Network, che ricordiamo essere una delle oltre 400 realtà aderenti all’Alleanza Malattie Rare, può visitare il sito www.disabilitypridenetwork.org o prendere contatti tramite Facebook e Instagram.
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