Vasi sanguigni

L’ipotesi è tutta da dimostrare ma in diversi Paesi, tra cui l’Italia, si segnala un aumento di pazienti pediatrici affetti da sindrome infiammatoria

Nelle ultime settimane è stato rilevato un aumento dei casi di bambini ricoverati in terapia intensiva a causa di rare sindromi infiammatorie multisistemiche, sia negli Stati Uniti che in Paesi europei come Regno Unito, Spagna, Francia e anche Italia. I sintomi sembrano essere causati da una violenta risposta immunitaria e sono generalmente sovrapponibili a quelli della malattia di Kawasaki, anche se, in alcuni casi, si associano a segni tipici della sindrome da shock tossico o ad altre manifestazioni, come dolori addominali, disturbi gastrointestinali e infiammazioni cardiache. Pur non essendoci ancora alcuna certezza dal punto di vista medico-scientifico, la preoccupazione è che questo aumento di casi possa essere una conseguenza dell’infezione da SARS-CoV-2.

I bambini, finora, sono stati tra i meno colpiti dalla malattia COVID-19, come confermato da recenti studi epidemiologici. Le ipotesi per spiegare questo fenomeno sono diverse e in fase di approfondimento, ma quelle ad oggi più accreditate prendono in considerazione, nella popolazione pediatrica, un minor tasso di infezione rispetto agli adulti (come descritto da uno studio cinese pubblicato su JAMA Network) o la presenza della malattia virale con sintomi lievi, che non richiedono interventi medici (come riportato su The Lancet). 

Di recente, tuttavia, è stato evidenziato un insolito aumento del numero di bambini affetti da sindromi infiammatorie multisistemiche spesso assimilabili alla malattia di Kawasaki, una patologia rara che è caratterizzata da una vasculite sistemica, cioè da un’infiammazione dei vasi sanguigni, e che in Europa colpisce un bambino di età inferiore ai 5 anni ogni 6.500-20.500. La malattia di Kawasaki si manifesta con febbre alta, eritema ed edema a mani e piedi, eruzione cutanea, congiuntivite e ingrossamento delle ghiandole linfatiche. La complicanza più grave sono gli aneurismi delle arterie coronariche, che possono portare al decesso per infarto del miocardio anche in giovane età. La causa della patologia è ancora sconosciuta, ma gli scienziati sospettano che alla base vi sia un innesco virale che provoca una risposta immunitaria anormale. La terapia, spesso risolutiva, si basa sulla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa a dosaggio elevato.

L'aumento dei casi di malattia di Kawasaki, in forma più o meno tipica, ha portato a diversi ricoveri in terapia intensiva, anche di bambini di età superiore ai 5 anni, e ad un trattamento farmacologico a volte aggressivo. Il fatto, poi, che il fenomeno sia stato riscontrato nelle zone maggiormente colpite dal SARS-CoV-2 ha fatto riflettere sull’esistenza di un possibile nesso causale. Diversi bimbi ricoverati, infatti, sono risultati positivi al virus; in altri, invece, il test ha dato esito negativo, anche se alcuni medici pensano che la sindrome infiammatoria possa essere una risposta tardiva a un’infezione passata.

Anche in Italia è stato riscontrato un numero insolito di pazienti ricoverati con sintomi assimilabili alla malattia di Kawasaki. Una ventina di casi sono stati registrati nella provincia di Bergamo: il numero, seppur basso, fa scalpore, perché in quella zona, in media, vengono registrati una decina di casi all’anno. La comunità scientifica e i pediatri di famiglia sono già in allerta, anche se all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ricordano che solo una piccola percentuale di bimbi, meno dell’1%, sviluppa questa sintomatologia. “Negli ultimi due mesi – riferisce ad ADNkronos Salute Lucio Verdoni, reumatologo pediatra del Papa Giovanni XXIII – ci siamo accorti che arrivavano al Pronto Soccorso pediatrico diversi bambini con malattia di Kawasaki. In un mese, il numero dei casi di questa patologia ha eguagliato quelli visti nei tre anni precedenti. E si è calcolato che l'incidenza di questa malattia, nell'ultimo mese, è stata 30 volte superiore al passato”.

Il coinvolgimento diretto del nuovo Coronavirus nello sviluppo della malattia di Kawasaki è tutto da dimostrare, ma se l’ipotesi risultasse vera confermerebbe che la sindrome infiammatoria è causata dalla risposta dell’organismo all’agente infettivo. Aver investito tempo e denaro nella ricerca su una malattia rara come la Kawasaki potrebbe quindi essere d’aiuto per identificare i meccanismi ancora sconosciuti dell’infezione da SARS-CoV-2. Fondamentale sarà continuare a raccogliere quanti più dati possibile, indagare le eventuali correlazioni e collaborare, anche a livello internazionale, per trovare una risposta. Nel frattempo, i medici consigliano ai genitori di fare attenzione all’eventuale presenza, nei bambini, di sintomi simili a quelli della malattia di Kawasaki, affinché sia possibile, ove necessario, avviare al più presto un adeguato trattamento.

 

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