A Torino si testa un farmaco a livello preclinico, così in altre parti del mondo, ma la velocità con cui si avranno risultati applicabili ai pazienti dipende dalle risorse che saranno messe in campo
TORINO - La Sindrome di Rett è una patologia rara per la quale attualmente non esiste un trattamento terapeutico. “Si tratta, però, di una delle patologie rare neurologiche tra le più studiate – spiega Maurizio Giustetto - Non solo il numero di ricercatori impegnati su questo fronte è elevato ma la qualità dei curricula di alcuni di loro è cosi apprezzabile da rendere estremamente incoraggiante la speranza che presto si giunga a delle cure, magari non completamente risolutive ma che possano migliorare sensibilmente la vita delle famiglie e dei pazienti.”
E’ proprio il Prof. Maurizio Giustetto, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Torino, a chiarire a Osservatorio Malattie Rare l’attuale stato dell’arte della ricerca scientifica sulla Sindrome di Rett.
“La ricerca è attualmente focalizzata su alcuni obiettivi principali: le basi molecolari del funzionamento del gene MECP2, la cui mutazione causa la Sindrome di Rett, ed i processi che da una tale lesione genetica portano ai difetti neuronali e comportamentali che sono associati alla patologia. – spiega Giustetto – Dal punto di vista terapeutico, la scoperta che potenzialmente questa sindrome possa essere “completamente curata”, almeno nel modello murino, con la riattivazione del gene funzionante (un approccio che tuttavia non sarà possibile testare nell’uomo per qualche anno almeno, un tempo necessario per potere evitare possibili effetti negativi collaterali) ha spalancato le porte della speranza ponendo la sindrome di Rett ai primi posti tra le patologie dello spettro autistico per cui sarà possibile trovare in futuro una cura”.
“Su tutti questi fronti – continua Giustetto - la comunità scientifica si sta muovendo con un numero di ricerche sempre maggiore ed uno sforzo di mezzi e ricercatori via via crescente. Tuttavia ancora non è sufficiente, come purtroppo non sono sufficienti le risorse a disposizione, una situazione ovviamente resa complicata dal periodo di attuale crisi economica. Nel laboratorio che dirigo, presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, ci occupiamo di identificare nuovi aspetti neuropatologici della sindrome di Rett focalizzando la nostra attenzione sui difetti della connettività sinaptica prodotti dalla mutazione del gene Mecp2. La sfida è di comprendere quali alterazioni dei processi metabolici, biochimici e molecolari all’interno delle cellule neuronali sono responsabili dei difetti dello sviluppo e del funzionamento dei circuiti neurali. Lo scopo ultimo: tentare di proporre soluzioni per rimediare a tali alterazioni”.
“A Torino – continua - stiamo testando un farmaco sperimentale che è in grado di agire sulla sintesi proteica neuronale, che è malfunzionante nei topolini Rett, per comprendere se sarà in grado di alleviare i danni causati dalla mutazione di Mecp2. Infatti, in collaborazione con altri quattro gruppi di ricerca italiani (V. Broccoli, T. Pizzorusso, S. Biffo e N. Landsberger) abbiamo recentemente dimostrato che la sintesi di nuove proteine è deficitaria in un modello murino per questa patologia. A questo studio sono seguiti gli esperimenti che stiamo eseguendo qui all’Università di Torino sulla possibilità di “riattivare” la traduzione delle proteine. Per ora i risultati ottenuti sono incoraggianti dal punto di vista della tossicità e del potenziamento della sintesi proteica di questo farmaco. Speriamo che questi studi preclicnici portino in breve tempo risultati sufficientemente definitivi che auspichiamo si rivelino utili anche per un eventuale approccio terapeutico”.
Oltre alle importanti ricerche condotte in Italia ci sono diverse possibilità per i pazienti Rett che si profilano all’orizzonte. “ Negli Usa Sono in corso trials clinici con l’IGF1, il fattore trofico insulino-simile 1, con il quale il gruppo del Prof. M. Sur del MIT di Boston, in uno studio condotto dall’ italiana dott.ssa D. Tropea, si sono ottenuti risultati incoraggianti nel modello murino. I risultati di questi trials ancora non si conoscono e non si conosceranno per altri parecchi mesi almeno. Si è conclusa la fase in cui la tossicità di questo trattamento è stata accuratamente vagliata ed i risultati sembrano essere per ora positivi.”
“In parallelo – prosegue Giustetto - si stanno testando sostanze in grado di alleviare almeno alcuni degli aspetti più gravi della patologia come ad esempio i deficit respiratori. In questa direzione si sono fatti passi in avanti molto importanti a livello preclinico che hanno stimolato il loro utilizzo in trials clinici, ed è probabile che alcuni di questi farmaci (ad es. la desipramina), già testati per la somministrazione, possano essere a breve disponibili per i pazienti.”
Recentemente all’orizzonte si è profilata anche una possibilità terapeutica molto diversa da quelle attualmente in fase di studio, che prevede l’utilizzo del trapianto di midollo osseo per arrestare i sintomi della patologia.
“La scoperta del dott. Kipnis e collaboratori sul coinvolgimento del sistema immunitario nella sindrome e sul trapianto di midollo osseo – spiega Giustetto - è stata accolta come un cambio di paradigma, una possibilità che immagino solo i titolari di quella ricerca e pochi altri avrebbero potuto sperare funzionasse. Che le cellule gliali, che con i neuroni compongono il tessuto del sistema nervoso, fossero importanti per la patologia era chiaro già da un paio di anni. Che addirittura sostituendo la microglia, le cellule “spazzino” deputate all’attività fagocitaria nel sistema nervoso centrale, con un trapianto di midollo osseo molti dei sintomi della patologia nel modello murino, durata della vita media compresa, potessero migliorare cosi tanto non era possibile prevederlo. E’ chiaro che questo tipo di intervento potrebbe rappresentare una speranza per le giovani e meno giovani pazienti affette dalla Rett. Ma deve essere altrettanto cristallino che ancora molto lavoro deve essere fatto prima di poter affermare che questo, cosi come gli altri approcci, possano essere sicuri ed efficaci anche nelle bambine.”
“In questo contesto, è cruciale ricordare che dietro alle scoperte fin qui descritte sulle cause di molte patologie cosi come dietro allo sviluppo di nuove terapie vi sono anni e anni di studi effettuati dagli scienziati impegnati nella “ricerca di base”, ovvero lo studio dei processi biologici fondamentali. Per la ricerca di base è però paradossalmente sempre più difficile è attrarre risorse economiche. Quindi, è’ fondamentale ricordare sempre, sia ai cittadini sia ai legislatori competenti, che la ricerca di base riveste un aspetto irrinunciabile nel processo di evoluzione verso le conoscenze che ci potranno condurre alla cura di patologie complesse come quelle neurologiche, e la rapidità con cui giungeremo a tali risultati dipende in grandissima parte dall’entità di risorse ad essa dedicate. Citando un articolo di Huda Zoghbi, la scopritrice della mutazione del gene Mecp2, comparso recentemente sulla rivista Science: “La difficoltà incontrata della medicina traslazionale è che gli scienziati stanno cercando di tradurre un testo con la raffinatezza e la profondità di Shakespeare con a diposizione un linguaggio e l'esperienza da prima elementare, perché la nostra conoscenza sulle funzioni della maggior parte delle vie molecolari in vari tipi di cellule, in diversi stadi di sviluppo, in condizioni fisiologiche normali, è ancora rudimentale e frammentario”.
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