I dati ottenuti dai primi quattro pazienti coinvolti nello studio indicano la sicurezza della terapia sperimentale, ma è ancora da chiarirne l’efficacia
Risale allo scorso novembre l’annuncio dell’avvio, negli Stati Uniti, della prima sperimentazione al mondo basata sull’intervento di editing genomico in vivo, una correzione del DNA effettuata direttamente nell’organismo (leggi la notizia su OMaR). Un studio pionieristico che ha come obiettivo quello di trattare nove pazienti affetti da sindrome di Hunter utilizzando una strategia terapeutica, sviluppata da Sangamo Therapeutics, a base di nucleasi “zinc finger” (ZFN), una metodica di editing genomico più vecchia rispetto all’ormai famosa CRISPR, ma pur sempre innovativa.
La mucopolisaccaridosi di tipo II (MPS II), o sindrome di Hunter, è una malattia metabolica estremamente rara, la cui incidenza, estremamente variabile a seconda dei Paesi, è di circa un paziente ogni 160-170mila nati maschi. La condizione è causata da mutazioni nel gene che codifica l’iduronato-2-sulfatasi (IDS), un enzima responsabile della scissione degli zuccheri complessi. La conseguenza è un accumulo di questi zuccheri nelle cellule con una grave ripercussione sull’intero organismo, soprattutto su organi vitali come i polmoni, cuore e cervello. I pazienti affetti da sindrome di Hunter possono avere forme più o meno gravi, con quadri clinici molto diversi l’uno dall’altro ma spesso molto invalidanti.
Attualmente, l’unico trattamento valido per i pazienti con sindrome di Hunter consiste nella somministrazione dell’enzima IDS (terapia enzimatica sostitutiva) mediante infusioni che devono essere ripetute settimanalmente. Ed è per questo motivo che Sangamo Therapeutics, un’azienda nata nel 1995 con l’obiettivo di sviluppare nuove tecniche nel campo dell’editing genomico e che, ad oggi, detiene quasi il totale monopolio del settore delle ZFN, ha voluto sviluppare una terapia a base di nucleasi “zinc finger”, in grado di fornire l’enzima mancante in maniera permanente.
L’intera strategia terapeutica, denominata SB-913, si basa sui seguenti passaggi: le istruzioni per assemblare e far funzionare i diversi componenti necessari per l’operazione di editing (il gene correttivo e due ZFN) sono veicolate, sotto forma di DNA, all’interno delle cellule mediante un vettore virale (virus adeno-associato) reso innocuo. Miliardi di copie di questo “virus terapeutico” vengono somministrate al paziente per via intravenosa, le quali, opportunamente programmate, viaggiano fino al fegato. Qui le cellule epatiche utilizzano le istruzioni fornite per costruire le nucleasi “zinc finger” e per produrre il gene correttivo. A questo punto, le due nucleasi tagliano il DNA nei punti prestabiliti permettendo l’inserzione del gene, che consentirà così alle cellule di produrre l’enzima mancante. Questa strategia si differenzia dai metodi più convenzionali di terapia genica perché permette di controllare con precisione dove è inserito il gene sano. Nel 2017, SB-913 ha ottenuto dalla FDA statunitense la designazione di farmaco orfano.
Lo studio clinico in corso, denominato CHAMPIONS, è di Fase I-II, condotto in aperto senza placebo, e progettato per valutare la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia preliminare di una singola somministrazione intravenosa di tre diversi dosaggi (basso, medio, alto) di SB-913. Il trial, della durata di 16 settimane, si svolge in sette diversi centri clinici negli Stati Uniti, e ha reclutato nove pazienti con sindrome di Hunter dai 18 anni in su.
I risultati preliminari del trial sono stati presentati da Joseph Muenzer, professore di genetica e metabolismo presso la University of North Carolina (UNC) e responsabile del trial in corso alla stessa UNC, in occasione del Simposio Annuale SSIEM (Society for the Study of Inborn Errors of Metabolism), che si è tenuto ad inizio settembre ad Atene (Grecia). Si tratta dei dati raccolti su quattro pazienti che hanno partecipato allo studio: due hanno ricevuto una bassa dose di SB-913, e gli altri due hanno ricevuto una dose intermedia. In nessun caso sono stati rilevati eventi avversi collegati al trattamento, il che ha dimostrato la sicurezza e tollerabilità della terapia sperimentale. Sul fronte dell’efficacia, invece, solo nei soggetti che hanno ricevuto il dosaggio intermedio è stata rilevata, nelle urine, una riduzione degli zuccheri complessi, che sono i principali marcatori biochimici di questa malattia. "Un risultato incoraggiante, ma ancora precoce”, ha detto Muenzer.
Le analisi eseguite non sono però riuscite a rilevare un concomitante aumento della quantità di enzima IDS presente nel sangue. Sandy Macrae, presidente e CEO di Sangamo Therapeutics, ha affermato che l’azienda sta sviluppando un metodo di misurazione più sensibile, in grado di rilevare bassi livelli dell’enzima, ipotizzando che l’enzima potrebbe essere rapidamente assorbito dal sangue dai tessuti deprivati di IDS.
Risultati più rilevanti riguardo l’efficacia potrebbero emergere dal terzo gruppo di pazienti, al quale è assegnata la dose più alta di SB-913. L’azienda ha comunicato che i dati non saranno disponibili prima della fine di quest'anno. Sangamo prevede di presentare risultati più completi su sicurezza ed efficacia, inclusi quelli del dosaggio più elevato, al Simposio “We Are Organizing Research on Lysosomal Diseases”, che si terrà ad Orlando, in Florida, a febbraio 2019.
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