Per il prof. Antonio Toscano gli spostamenti dei bambini malati verso i centri specialistici, oltre che una sofferenza, rappresentano anche un rischio... da eliminare
Messina – I medici concordano con i pazienti affetti da malattia di Pompe: occorre consentire la terapia domiciliare. Non solo: saranno al loro fianco in questa battaglia. Il dibattito si è aperto recentemente: chi combatte contro questa rara malattia neuromuscolare è costretto ad assumere, ogni due settimane e per tutta la vita (fino alla definizione di un diverso trattamento) la terapia enzimatica sostitutiva a base di alglucosidasi alfa. Le infusioni per via endovenosa, in Italia, possono essere fatte solo nei centri specialistici e nei centri a loro correlati.
La malattia di Pompe è una patologia molto grave, debilitante e spesso mortale, che danneggia muscoli, apparato respiratorio e cuore: i bambini colpiti sono perciò costretti in carrozzina e a volte dipendono dalla ventilazione assistita. È facile immaginare gli enormi disagi che può comportare un lungo viaggio in automobile o in ambulanza verso il centro specializzato. Perché a questi bambini non è consentito fare le infusioni a domicilio, evitando a loro e ai genitori una difficoltà che si somma a quelle quotidiane, già pesantissime? Lo abbiamo chiesto al prof. Antonio Toscano, responsabile del Centro Regionale di Riferimento per le Malattie Neuromuscolari Rare presso l'A.O.U. Policlinico “G. Martino” di Messina e già presidente dell'Associazione Italiana Miologia (AIM).
“Per i piccoli pazienti, specialmente quelli in ventilazione assistita, dover affrontare ogni due settimane questi spostamenti, oltre che una sofferenza è anche un rischio. Sono da considerare anche i gravissimi svantaggi subiti dai genitori, costretti a lunghe trasferte con relative giornate lavorative perse”, sottolinea Toscano. “Per tutti questi motivi, noi medici (e questa è anche la posizione dell'AIM) siamo favorevoli all'opzione della terapia domiciliare, almeno per i casi più gravi – specie quelli ventilati artificialmente – e per le famiglie che abitano a grande distanza dal centro specialistico”.
L'Italia guarda dunque all'esempio dell'Olanda e dell'Inghilterra, le uniche nazioni in cui al momento è possibile per i pazienti con malattia di Pompe effettuare le infusioni a casa propria. L'unico caso verificatosi nel nostro Paese è quello di un bambino di Brescia, che è riuscito ad ottenere la terapia domiciliare solo in seguito alla lunga battaglia legale portata avanti dai genitori.
Per un'altra malattia da accumulo lisosomiale, la malattia di Fabry, in alcune Regioni italiane questa opzione è possibile. “La Pompe è più frequente della Fabry, ma sono patologie molto diverse”, spiega il prof. Toscano. “Nella Pompe si presentano problemi cardiologici e una progressiva riduzione della forza muscolare, in particolare della muscolatura respiratoria, che porta alla ventilazione assistita anche 24 ore al giorno, mentre nella Fabry gli organi più colpiti sono cuore, reni e sistema nervoso centrale”.
I pazienti italiani affetti da malattia di Pompe sono circa 400, dei quali solo 200-220 in terapia. E il motivo è anche l'impossibilità di effettuare le infusioni a domicilio. “Molti pazienti, purtroppo, non possono o non vogliono spostarsi verso i centri di riferimento. La terapia enzimatica sostitutiva funziona molto bene nelle forme infantili ma anche nell'adulto, seppure un certo grado di progressione della malattia ci sia sempre. Le sperimentazioni che sono state condotte hanno dimostrato che i pazienti che non seguono questa terapia stanno peggio”, spiega il neurologo.
Fra l'altro, l'autorizzazione della terapia domiciliare non porterebbe alcun aggravio per le casse dello Stato. L'iniziativa è ora nelle mani delle associazioni dei pazienti, che potrebbero chiedere un'audizione all'AIFA, l'Agenzia Italiana del Farmaco. “Se decideranno di farlo – assicura Toscano – noi medici saremo al loro fianco”.
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