La possibilità dello screening per i pazienti con malattia lisosomiale ha cambiato, in particolare, la storia della malattia di Fabry e la sua epidemiologia, a cominciare dalla percezione della sua frequenza: grazie ai risultati degli screening, che in questi 15 anni sono stati eseguiti in diverse popolazioni rischio, è stato messo in evidenza come questa patologia fosse meno rara di quanto si pensasse.

Di questo tema abbiamo parlato con il prof. Antonio Pisani, della U.O. di Nefrologia, Dipartimento di Sanità Pubblica, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, in occasione del corso annuale "Time2Fabry, la Fabryca dell'esperienza", promosso da Shire e svoltosi il 16 e 17 novembre 2018 a Milano.

Lo screening su larga scala nella popolazione a rischio è sicuramente la soluzione più efficace, anche perché grazie alla possibilità di metodiche estremamente economiche e veloci, come l’esame sulla goccia di sangue, semplifica molto l’iter diagnostico”, spiega il prof. Antonio Pisani. “Sono stati ottenuti risultati molto interessanti sia dal punto di vista numerico che da quello dell’ampliamento delle conoscenze, rispetto a quella che la genetica di queste patologie. Sicuramente, lo screening non risolve il problema della lentezza di diagnosi che caratterizza queste malattie rare, ma in qualche modo aiuta i clinici a individuare, soprattutto nelle popolazioni a rischio, come quelle con ipertrofia ventricolare sinistra senza causa, con malattia renale o nel giovane con ictus, una diagnosi che altrimenti sarebbe misconosciuta”.

È stato fatto molto negli ultimi 15 anni, proprio grazie alla disponibilità di queste nuove metodiche. Sono state eseguiti moltissimi programmi di screening, a livello locale, regionale o nazionale, ottenendo risultati davvero importanti. “Ritengo che i pazienti da sottoporre a tale procedura diagnostica siano quelli più a rischio, cioè quelli che presentano ipertrofia ventricolare sinistra, malattia renale e malattie del sistema nervoso centrale”, aggiunge l'esperto.

Per la malattia di Fabry esiste anche la possibilità di intervenire ancor più precocemente, grazie allo screening neonatale. “Questo sicuramente permette di fare una diagnosi estremamente precoce, che tuttavia potrebbe essere, in una certa misura, inficiata dalla presenza di molte varianti cliniche e di mutazioni a significato patologico incerto”, conclude il prof. Pisani. “C’è il rischio di formulare una diagnosi di patologia in un paziente che non manifesterà, negli anni, evidenze cliniche. Per tutti questi motivi, lo screening neonatale per la malattia di Fabry rimane dibattuto, sebbene la tendenza nazionale sia quella di allargare anche alle malattie metaboliche lo screening neonatale”.

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