“Il farmaco orale – spiega il prof. Claudio Feliciani dell'Università di Parma – ha migliorato le funzionalità renali e cardiache nella maggior parte dei pazienti”. Il suo studio, condotto in multicentrica mondiale, è stato pubblicato sull'autorevole New England Journal of Medicine

PARMA – Lo studio sulle malattie genetiche negli ultimi anni ha aperto le porte a nuove terapie impensabili fino a qualche decennio fa, quando ipotizzare di trattare una malattia genetica con un farmaco per via orale avrebbe fatto per lo meno sorridere.
Alcune di queste malattie genetiche presentano mutazioni per cui la sostanza che viene prodotta alterata può in realtà ancora essere utilizzata dall’organismo con l’aiuto di farmaci. Ne è l’esempio lo studio multicentrico condotto a livello mondiale sulla malattia di Fabry, pubblicato sul prestigioso New England Journal of Medicine, al quale ha partecipato il prof. Claudio Feliciani, docente di Dermatologia e Malattie Cutanee e Veneree dell'Università di Parma.

“L'incidenza della malattia è sconosciuta, in letteratura i dati sono discordanti e vanno da un caso su 120.000 a uno su 40-60.000: in Italia, secondo i due database esistenti, ci dovrebbero essere circa 250-300 pazienti”, spiega il prof. Feliciani. “La Fabry è una malattia lenta e subdola. Nei primi anni di vita si manifestano acroparestesie (un formicolio a volte doloroso alle mani o ai piedi), i bambini si stancano facilmente, hanno dolori agli arti e sintomi cutanei come gli angiocheratomi (masse tumorali di carattere benigno)”.

“Un segno molto frequente si presenta nell'occhio: la cornea verticillata, che tuttavia non dà alcun fastidio ed è anzi di grande aiuto nella diagnosi. I sintomi più gravi sono quelli neurologici, cardiologici e nefrologici, che possono portare a ictus o insufficienza renale”, prosegue il dermatologo. “Purtroppo in questa patologia si ha solitamente un lungo ritardo diagnostico, anche di dieci anni. Pure l'aspettativa di vita è ridotta in media di dieci anni, ma è soprattutto la qualità di vita ad essere inficiata”.

Per i pazienti è oggi disponibile la terapia enzimatica sostitutiva con l'enzima alfa-galattosidasi A, da effettuarsi ogni due settimane in ospedale per infusione. La terapia rallenta l'accumulo e la storia naturale della malattia, normalmente la stabilizza, ne riduce gli effetti a lungo termine e in alcuni casi la blocca.

Un'alternativa di recente introduzione è invece quella basata sulle molecole chaperoniche, zuccheri in grado di legare ciò che la cellula produce ma non è in grado di utilizzare. Esistono, infatti, più di 600 diverse mutazioni, e più del 60% dei pazienti ha una mutazione per cui l'enzima viene prodotto ma non utilizzato.

“In questo studio di fase III – spiega Feliciani – abbiamo esaminato 67 pazienti con mutazioni sensibili al farmaco e con insufficienza renale grave o irreversibile, perché l'unico modo per rilevare un miglioramento è la biopsia renale, non ci sono altri test di laboratorio. In seguito alla somministrazione dello chaperone migalastat o di un placebo, abbiamo notato un miglioramento delle funzionalità renali e cardiache nella maggior parte dei pazienti che avevano assunto il farmaco, con una stabilizzazione della malattia e un miglioramento delle condizioni generali”.

La terapia con migalastat – fa notare il prof. Feliciani – è molto più comoda rispetto a quella di sostituzione enzimatica, perché si tratta di un farmaco orale, da assumere un giorno sì e un giorno no. “In futuro la terapia per la malattia di Fabry sarà una combinazione tra l'enzima infuso e gli chaperoni, un'opzione già sperimentata ma che potrà realizzarsi solo nei prossimi anni”.

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