Giornata Mondiale del Linfedema

Il 6 marzo si è celebrata la settima edizione della Giornata Mondiale dedicata alla patologia

A chi non è mai capitato di ritrovarsi, magari al termine di una torrida giornata estiva, con i piedi un po’ gonfi? Allergie alimentari, punture di insetto, ciclo mestruale o gravidanza, alcuni farmaci, una posizione statica mantenuta nel tempo (eretta o seduta), un trauma: le cause di gonfiore possono essere molteplici. L’accumulo di liquido linfatico nei tessuti (edema) è una condizione che può interessare chiunque; tuttavia, questo gonfiore può essere cronico, recidivante e abnorme: in questo caso si parla di linfedema. Il 6 marzo si è celebrata la settima Giornata Mondiale dedicata a questa patologia. Istituita nel 2016 dal Senato degli Stati Uniti, in risposta a un disegno di legge scritto dal Lymphatic Education & Research Network (LE&RN), l’iniziativa si prefigge l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e la comunità medico-scientifica su tutte malattie linfatiche, con particolare riferimento al linfedema.

Si stima che le persone affette da linfedema nel mondo siano circa 250 milioni. L’incidenza di questa patologia è in costante aumento: in Italia, ogni anno, vengono diagnosticati circa 40.000 nuovi casi. Il linfedema può essere primario, se causato da anomalie congenite a carico del sistema linfatico, oppure secondario, quando compare in conseguenza di alcune malattie (adenopatie, diabete, linfangite, cellulite batterica, erisipela, filariosi linfatica) o deriva dalla rimozione chirurgica dei linfonodi (per alcune patologie tumorali, ad esempio, si rende necessario intervenire con lo svuotamento dei linfonodi ascellari, inguinali o pelvici).

Il linfedema primario è una patologia rara dovuta al parziale, mancato o alterato sviluppo di alcune componenti anatomiche del sistema linfatico, e si manifesta, dal punto di vista clinico, con un incremento di volume delle parti del corpo affette (generalmente gli arti, ma anche il viso o i genitali) dovuto al ristagno della linfa nei tessuti. Il linfedema primario interessa prevalentemente il genere femminile e può essere presente alla nascita (linfedema connatale: 2-3% dei casi), insorgere entro le prime due decadi di vita (linfedema precoce: meno dell’1-2% dei casi) o manifestarsi dopo i vent’anni (linfedema tardivo: 94-95% dei casi).

Nel linfedema tardivo è possibile risalire, di solito, a una causa scatenante, un traumatismo che ha slatentizzato la patologia in donne geneticamente predisposte. È successo così a Patrizia, sessantenne di Bologna: “Tutto è cominciato dopo il primo parto”, racconta. “Sono uscita dall’ospedale in ciabatte: avevo i piedi talmente gonfi che non entravano più in nessuna scarpa”. Anche Anna (nome di fantasia) ricorda un esordio simile: “Era il 2014 ed ero appena tornata da un viaggio in Oriente. Il mio piede destro era diventato enorme. Niente di paragonabile alle avvisaglie che avevo avuto precedentemente e che attribuivo a una ‘normale’ condizione di cattiva circolazione, tipicamente femminile”.

Molto spesso, la manifestazione del linfedema viene preceduta da alcuni segni premonitori: gonfiore transitorio, sensazione di calore, cellulite ricorrente e dolente, pesantezza, rigidità e diminuzione del raggio di movimento della parte del corpo interessata. Si tratta, tuttavia, di sintomi vaghi e aspecifici, potenzialmente riconducibili ad altre patologie più note e quindi, spesso, confusi e travisati. “I medici interpellati mi dicevano che era un problema di insufficienza venosa e che avrei dovuto indossare delle calze elastiche. Nessuno, all’inizio, si è mai soffermato a indagare più a fondo”, racconta Patrizia. “Uno specialista a cui mi ero rivolta disperata, per via del gonfiore invalidante di cui soffrivo, mi aveva proposto di fare un ciclo di trattamenti anticellulite, ovviamente a pagamento”, lamenta Anna.

Quando il sistema linfatico si ‘guasta’, si verificano una serie di cambiamenti anatomo-fisiologici. Inizialmente, si riscontra un aumento del liquido linfatico nei tessuti interessati. Il ristagno, dapprima intermittente, con l’avanzare della patologia diventa permanente e aumenta in volume. Anche il liquido stesso cambia composizione, facendosi via via più denso, gelatinoso e ricco di proteine. I tessuti interessati, perciò, diventano progressivamente fibrotici e infiammati: l’edema ne diminuisce l’ossigenazione, interferendo con i normali processi immunitari e cicatriziali. A questo punto, la pelle, che presenta un’evidente alterazione della cromia, è più suscettibile alle infezioni. “Il problema era l’estate”, racconta Patrizia. “Complici il caldo e gli insetti, la situazione diventava ingestibile. Spesso, dopo una semplice puntura di zanzara, la pelle si infettava e mi saliva la febbre”.

Per il linfedema, purtroppo, non esiste una terapia risolutiva. Per migliorare i sintomi, in genere, è raccomandata la terapia complessa decongestiva (linfodrenaggio, bendaggi, pressoterapia, tutori elastici, fisioterapia). Alcuni linfedemi rendono necessario ricorrere all’intervento chirurgico, che può essere di tipo fisiologico (per migliorare il drenaggio linfatico) o escissionale (per rimuovere i tessuti colpiti e ridurre il ‘carico’ correlato al linfedema). Grazie alla chirurgia è possibile alleviare il gonfiore in modo significativo, ma si tratta comunque di un trattamento che non è curativo e che non ovvia alla necessità di continuare la terapia decongestiva. “Sono stata operata nel 2007”, ricorda Patrizia. “Oltre alla safenectomia interna, sono stata sottoposta a un intervento di microchirurgia derivativa, con anastomosi linfatico-venosa”. Una simile operazione permette di creare un collegamento tra vasi linfatici e sanguigni, in modo da favorire lo scarico della linfa nel circolo venoso (come avviene anche fisiologicamente). “Il beneficio è durato un anno”, spiega Patrizia. “Purtroppo, il problema si è ripresentato quasi subito e, a distanza di 12 mesi, la situazione era di nuovo grave”.

“Il limite dell’approccio chirurgico, oltre alla scarsa durata dei benefici nel tempo, è l’impegno economico che comporta”, afferma Anna. “L’operazione, infatti, è preceduta e seguita da una serie di terapie intensive, sicuramente efficaci per la preparazione e la ristabilizzazione post-operatoria ma tutte a pagamento”.

In mancanza di una certificazione che attesti la malattia, tutti i trattamenti, gli integratori e i presidi sanitari sono a pagamento”, aggiunge Anna. “Ottenere questo certificato, però, può essere una vera e propria odissea: a me è stato rilasciato solo sette anni dopo la prima diagnosi, dal Poliambulatorio Mengoli di Bologna, che risulta essere una delle poche strutture preposte al riconoscimento del linfedema. Fino ad allora ho sempre pagato tutto di tasca mia. Il primo collant dispensato dal Servizio Sanitario Nazionale mi è arrivato solo a dicembre del 2021”. Anche Patrizia racconta un’esperienza simile: “Avendo una situazione lavorativa precaria, non sono mai riuscita a seguire in modo costante e continuativo il programma di fisioterapia decongestiva complessa che mi era stato consigliato, poiché era a pagamento”.

Il danno provocato dal ritardo diagnostico, tuttavia, non è soltanto economico: l’identificazione precoce del linfedema e l’avvio tempestivo di un intervento terapeutico sono essenziali per ridurre al minimo il rischio di progressione della malattia e le complicanze associate. Per questo motivo, eventi come la Giornata Mondiale del 6 marzo rappresentano un’importante occasione per promuovere la sensibilizzazione sulle patologie linfatiche a livello globale, costruendo un percorso di educazione e informazione mirato a migliorare le condizioni di salute e la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.

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