dr. Marco Ballestri e dr. Michele Potenzoni - Iperossaluria primitiva di tipo 1

Gli esperti: “Per una diagnosi precoce occorre innanzitutto prestare attenzione alla storia familiare e clinica del paziente”

Il nefrologo e l'urologo sono figure centrali nella cura dell'iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1), una patologia genetica estremamente rara che, pur colpendo prevalentemente i reni, coinvolge numerosi organi e necessita di una gestione da parte di un team multidisciplinare, all'interno del quale il ruolo di questi due specialisti è fondamentale, a partire dal momento della diagnosi. Perciò abbiamo chiesto a un nefrologo, il dr. Marco Ballestri (Dipartimento Nefro-Cardio-Vascolare, Divisione di Nefrologia, Dialisi e Trapianto renale dell'AOU Policlinico di Modena), e ad un urologo, il dr. Michele Potenzoni (Unità Operativa di Urologia, Ospedale di Fidenza), di spiegarci come è possibile individuare questi pazienti il prima possibile, per avviarli subito al trattamento.

Quali sono le red flag (caratteristiche cliniche o dati anamnestici) che dovrebbero portare al sospetto di una patologia genetica come la PH1 in un paziente con calcolosi?

Ballestri: “La prevalenza di litiasi, ossia di calcolosi, nella popolazione generale è molto elevata (dal 3 a oltre il 10% a seconda delle aree geografiche), e il 20-40% dei pazienti affetti da questa condizione presenta iperossaluria [eccessiva escrezione urinaria di ossalato, N.d.R.]. Alla luce di questi dati è evidente come sia difficile pensare di sottoporre a screening genetico l’intera popolazione dei pazienti litiasici con iperossaluria, così come va tenuto presente che non raramente la PH1 si manifesta in modo inconsueto e nell’età adulta. Ecco allora che si rende necessario individuare dei campanelli d'allarme, delle red flag, che aiutino il medico a identificare in modo precoce i pazienti con possibile PH1, così da sottoporli tempestivamente a uno screening genetico per la conferma diagnostica. Questo è doveroso soprattutto oggi, perché essendo disponibili terapie veramente efficaci per la PH1 diventa indispensabile evitare qualsiasi ritardo nella diagnosi. La letteratura ci dice che età di esordio, familiarità, bilateralità della calcolosi, iperossaluria, nefrocalcinosi e insufficienza renale progressiva di causa non nota sono i principali segnali, ma è in corso un'assidua ricerca volta ad aumentare la precisione di questi segnali d'allarme”.

Potenzoni: “La storia naturale dell'iperossaluria primitiva (PH) è caratterizzata da un progressivo deterioramento della funzionalità renale che, in assenza di un trattamento, può comportare anche la morte del paziente. La diagnosi è spesso tardiva e quindi la problematica resta misconosciuta per parecchio tempo. Attualmente, però, vi sono trattamenti farmacologici in grado di arrestare la progressione della malattia e quindi prevenire quadri più devastanti. È stato documentato che dall'esordio clinico, il tempo mediano alla diagnosi della PH negli adulti è di 5,5 anni. Esistono due setting di pazienti: uno che fa riferimento al bambino e un secondo che fa riferimento all’adulto. Circa il 70% degli adulti con PH arriva alla diagnosi dopo una progressione a malattia renale in stadio terminale, e addirittura in circa il 10% dei casi la diagnosi viene confermata solamente dopo un trapianto di rene, in caso di recidiva della malattia o di fallimento del trapianto stesso. La diagnosi precoce si basa su aspetti clinici e anamnestici e quindi, successivamente, su dati laboratoristici. La calcolosi urinaria è sicuramente una patologia frequente: dal punto di vista epidemiologico, infatti, si stima che circa il 12% degli uomini e il 10% delle donne svilupperà un problema di litiasi urinaria entro i 70 anni. La PH, invece, rappresenta una patologia estremamente rara in cui le persone affette si trovano spesso all’interno di una popolazione di pazienti urologici. Nell’ambito dei pazienti urologici, il sospetto clinico di PH si deve porre in presenza di un'anamnesi familiare positiva per patologie nefrologiche che abbiano portato allo sviluppo di quadri di insufficienza renale terminale (ESRD) o di trapianto di rene per calcolosi urinaria. Fra questi pazienti si deve cercare di escludere quelli con iperossaluria legata a problematiche di malassorbimento a livello intestinale. I segnali clinici negli adulti sono legati alla presenza di nefrocalcinosi (deposito di calcio nei reni), di un deterioramento progressivo della funzionalità renale fino alla ESRD o di calcoli renali recidivanti monolaterali o bilaterali. Infine, una particolare attenzione deve essere posta nella raccolta di informazioni circa la calcolosi in età adolescenziale o giovanile. Dal punto di vista laboratoristico, i dati più importanti sono rappresentati dal riscontro di valori elevati di ossalati nel plasma e nelle urine nelle 24 ore. Questi dati, comunque, devono essere correlati con gli altri parametri della valutazione del rischio litogenico”.

Nella sua esperienza clinica, quali sono le red flag che hanno portato al sospetto di PH1?

Ballestri: “Al momento attuale abbiamo testato 209 pazienti utilizzando come indicazione allo studio genetico i segni clinici e biochimici suggeriti dalla letteratura: nefrolitiasi metabolicamente attiva (39%), familiarità (34%), esordio precoce della malattia (15%), iperossaluria (14% alla prima determinazione, 10% alla seconda); poi calcolosi bilaterale, nefrocalcinosi, deterioramento della funzione renale da causa non nota, fallimento di un trapianto renale da causa non nota. Lo screening ci ha permesso di identificare 7 portatori di varianti del gene AGXT [il gene alla base della PH1, N.d.R.] di cui uno omozigote e 6 eterozigoti. L’omozigote, oltre alla forte familiarità per litiasi e insufficienza renale, presentava calcolosi recidivante, iperossaluria marcata ed età di esordio tardiva, dopo i 40 anni. Anche gli eterozigoti, affetti da litiasi recidivante nel 50% dei casi, avevano una familiarità positiva (4 su 6). Nella nostra piccola esperienza, la storia familiare e l’iperossaluria persistente sono apparsi i criteri maggiormente predittivi di varianti del gene AGXT”.

Potenzoni: “L'aspetto più rilevante è stato sicuramente la storia clinica di una paziente che mi riferiva pregresse coliche renali bilaterali in età adolescenziale, trattate con plurimi interventi endoscopici, e successive recidive negli anni. La paziente era giunta alla mia attenzione per una calcolosi renale complessa che in precedenza era stata trattata per via endourologica in maniera risolutiva e completa. La ricomparsa di una calcolosi a stampo, importante, ha rappresentato la red flag per eseguire il test genetico per l'iperossaluria primitiva”.

Come avvengono la valutazione metabolica e l’approccio multidisciplinare nella gestione di una patologia così rara e complessa?

Ballestri: “Ci sono due aspetti importanti. Il primo riguarda la necessità di visione integrata del paziente affetto da calcolosi in generale (non solo da PH1), che richiede sempre la valutazione di un profilo metabolico urinario completo al fine di evitare interventi terapeutici che, molte volte, non risolvono il problema, ma si traducono semplicemente in una variazione nella composizione dei nuovi calcoli che il paziente continuerà a formare. Focalizzarsi su un unico parametro, che sia l’iperossaluria piuttosto che l’ipercalciuria, l’iperuricuria o l’ipocitraturia, è limitativo. Il secondo aspetto riguarda invece la multidisciplinarietà, necessaria per gestire al meglio una patologia come la PH1, dove si richiede la collaborazione fra nefrologi e urologi in primis, ma per la quale è fondamentale anche il contributo dei cardiologi, degli endocrinologi, dei neurologi, degli oculisti, dei dermatologi, ecc. Si tratta infatti di una vera e propria patologia sistemica, che si struttura parallelamente al progressivo declino della funzione renale. La multidisciplinarietà è importante già in fase diagnostica, prima ancora che si manifestino le complicanze sistemiche. Ma manca ancora una sensibilizzazione capillare nei confronti della malattia, e questa è probabilmente la causa principale del frequente ritardo diagnostico che la caratterizza”.

Potenzoni: “La valutazione metabolica è abbastanza semplice: può essere eseguita in laboratori di II livello ed è finalizzata a valutare il rischio litogenico del paziente. Nello specifico, la titolazione quantitativa dell'ossaluria nelle 24 ore e dell'ossalemia rappresentano i due dati più importanti. Essendo l’iperossaluria una patologia sistemica con interessamento prevalente a carico dell'apparato urinario, l'approccio non può essere che multidisciplinare. L'urologo ha un ruolo primario nel trattamento della calcolosi urinaria sintomatica, ma in maniera ancor più rilevante deve entrare in gioco nella valutazione dello screening genetico dei pazienti con sospetta PH, essendo il primo clinico che ha in cura le persone affette da calcolosi. Il nefrologo svolge un ruolo fondamentale nella valutazione del rischio litogenico e nell’approccio terapeutico, pertanto è auspicabile che in futuro i pazienti affetti da problematiche di iperossaluria primitiva vengano inseriti in percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (PDTA) per la patologia litiasica”.

Rispetto al passato, come sono cambiati l'approccio al trattamento e l'outcome clinico, alla luce delle novità terapeutiche disponibili?

Ballestri: “La terapia classica ben modulata, nella stragrande maggioranza dei casi, riesce solo a rallentare la progressione della PH1 verso l’insufficienza renale e l’ossalosi sistemica. L’avvento dei nuovi trattamenti promette invece di cambiare radicalmente la prognosi quoad valetudinem e quoad vitam [per ciò che riguarda la salute e per ciò che riguarda la vita, N.d.R.] dei pazienti. Oggi, per la prima volta, abbiamo a disposizione farmaci specifici e ben tollerati in grado di agire efficacemente sulla sintesi di acido ossalico. Le esperienze degli ultimissimi anni con le terapie basate su RNA interference sono molto incoraggianti e, oltre ad essere importanti per prevenire la formazione di nuovi calcoli, l’accrescimento di quelli già presenti, la progressione del danno renale da PH1 e l’ossalosi sistemica, mostrano la possibilità di modificare radicalmente la strategia trapiantologica. Eseguire un trapianto isolato di rene, prima ancora di un trapianto di fegato o in alternativa a un trapianto combinato fegato-rene, è oggi una realtà percorribile. Resta da chiarire se possa esservi un declino dell’efficacia di questi farmaci nel lungo termine e se potranno verificarsi effetti avversi al momento non noti”.

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