Dipartimento per le Malattie Rare del Polmone Università di Modena
Fino a pochi anni fa per la IPF (Fibrosi polmonare idiopatica) non c’era una terapia. Oggi, dopo la sperimentazione, c’è un farmaco. Lei che ha visto i pazienti passare per queste fasi ha notato un cambiamento nella percezione della malattia?
Fino ad oggi in Italia solo pochi hanno potuto accedere al farmaco, con la sperimentazione o tramite il programma NPP: ci vorrà tempo prima che l’immaginario cambi, le esigenze insoddisfatte sono ancora molte. Certamente, però, sono pazienti che si sentono meno soli di un tempo, soprattutto grazie alla crescita dell’associazionismo. Ci sono più realtà a cui possono rivolgersi, più iniziative di divulgazione, e questo ha rappresentato un passo avanti. Ora con l’arrivo del programma IPF CARE le cose dovrebbero migliorare ancora, soprattutto nella gestione della quotidianità.
IPF CARE è il programma di assistenza domiciliare offerto da InterMune. Come funziona e a quali esigenze risponde?
IPF Care è un programma di assistenza domiciliare che mette a disposizione del paziente e delle famiglie infermieri formati per affrontare la patologia e in particolare l’insufficienza respiratoria cronica verso cui vanno incontro, coscienti del bisogno di supporto psicologico dei pazienti. L’adesione al programma è volontaria. Se il paziente vuole questo aiuto lo specialista, l’infermiere e la famiglia si confrontano per creare un programma personalizzato. Le esigenze sono infatti sempre diverse e questo tipo di intervento è efficace solo se costruito intorno al paziente e al suo nucleo familiare. Il ruolo dell’infermiere sarà quello di interfacciarsi con il paziente, diventando per lui una figura di riferimento, anche dal punto di vista umano, e con il medico, a cui potrà riferire tempestivamente eventuali difficoltà. Queste ultime possono riguardare l’andamento della patologia o essere legate all’assunzione di questo nuovo farmaco, che a dosaggio pieno prevede 9 pillole al giorno. Questa novità terapeutica è una grande opportunità ma deve essere gestita bene, sia dal punto di visa dell’aderenza che nel monitoraggio di eventuali effetti collaterali. Non che questi siano stati negli studi clinici particolarmente gravi, ma comunque siamo di fronte ad un farmaco nuovo e un occhio attento anche a questo aspetto aiuta a vedere quello che succede al di fuori della sperimentazione.
IPF CARE potrebbe essere un modello da usare in altre malattie polmonari?
L’assistenza domiciliare dovrebbe essere considerata sempre una parte della terapia, come avviene in molti paesi anglosassoni, e non una cosa accessoria. In Italia ci sono vari esempi di assistenza simili ad IPF CARE in ambito oncologico, ma ben poco al di fuori. Il problema è che spesso pensiamo che del paziente debba occuparsi la famiglia, ma non è giusto e spesso non è nemmeno possibile. IPF CARE va oltre questa visione, per questo ritengo che potrebbe diventare un modello su cui costruire interventi simili per altre malattie con caratterizzate da insufficienza respiratoria cronica.
Ha accennato spesso al carico psicologico a cui sono sottoposti questi pazienti, ce lo può spiegare meglio?
La IPF è certamente una malattia grave dal punto di vista fisico ma le sue ripercussioni psicologiche non sono da meno. Il nome stesso, che include il termine ‘idiopatica’, esplicita l’origine sconosciuta e aggiunge un elemento di incertezza. In fondo ci sono tante altre malattie di cui non conosciamo la causa, inclusi molti tipi di cancro, eppure non usiamo il termine ‘idiopatico’: il fatto di sottolineare i dubbi che ci sono è percepito dai pazienti. Il riscontro lo abbiamo nel vedere quanto sono disponibili a partecipare alle sperimentazioni, perché sanno che possono avere un ruolo importante nel fare chiarezza sulla patologia.
Ma i disagi sono anche altri. Nella maggior parte dei casi sono persone alla fine della loro vita lavorativa o appena andati in pensione. Aspettano da anni quel momento e quando arriva si trovano a dover rivedere i loro piani. Chi pensava di poter dare una mano nel gestire i nipoti si trova ad ‘essere un peso’ per i figli, addirittura col dubbio di poter trasmettere la malattia. Per non parlare poi di cosa accade quando si comincia a portare l’ossigeno. In Italia non siamo abituati a vedere persone che escono o vanno al ristorante con questo ausilio, c’è uno stigma sociale che i pazienti avvertono. È per tutti questi aspetti che la persona con IPF ha bisogno di un’assistenza che tenga in dovuta considerazione anche il carico psicologico ed emotivo
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