La parola alla Prof.ssa Colombo, direttore del Centro di Riferimento per la Fibrosi Cistica della Regione Lombardia
In occasione della presentazione del progetto L.IN.F.A., il Laboratorio Interattivo sulla Fibrosi Cistica nell'Adolescenza grazie al quale è stata condotta una ricerca sui fattori clinici, psicologici e relazionali che influenzano la qualità di vita dei pazienti affetti da fibrosi cistica e delle loro famiglie, la Prof.ssa Carla Colombo ci ha offerto una preziosa occasione di approfondimento sulla patologia.
“La fibrosi cistica (FC) - ricorda la Prof.ssa Colombo, direttore del Centro di Riferimento per la Fibrosi Cistica della Regione Lombardia (Fondazione IRCC Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano) - è la più frequente malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva della popolazione caucasica, con una frequenza di circa 1 su 3.000 bambini nati vivi. Si tratta di una malattia multisistemica, grave, ad andamento evolutivo, che colpisce le ghiandole esocrine e determina principalmente malassorbimento intestinale per insufficienza pancreatica e malattia respiratoria cronica in seguito all'ostruzione delle piccole vie aeree da parte di secrezioni bronchiali particolarmente dense e vischiose con predisposizione ad infezioni e infiammazione cronica del tessuto respiratorio.”
“Da quando fu descritta per la prima volta nel 1938 la prognosi è progressivamente migliorata e la FC è evoluta da una malattia che portava a morte nella prima infanzia per problemi respiratori e malnutrizione, a una malattia cronica con manifestazioni variegate, che interessa anche soggetti adulti. In particolare, negli ultimi 20 anni si è verificato un notevole miglioramento dell’approccio terapeutico, e ciò ha portato a una significativa riduzione della mortalità: nei paesi industrializzati l’età media di sopravvivenza si avvicina ai 40 anni, con un consistente e progressivo aumento dei pazienti adulti. “
“La maggior parte delle diagnosi di FC – continua Colombo- avviene oggi mediante screening neonatale. E’ stato infatti dimostrato che la diagnosi precoce attraverso screening ha effetti benefici, soprattutto dal punto di vista nutrizionale. Il test di screening per la FC viene eseguito, assieme a quello per altre malattie genetiche in 3°-5° giornata di vita e consiste nel prelievo di una goccia di sangue dal tallone del neonato, sul quale viene effettuato il dosaggio della tripsina-mmunoreattiva (IRT), che risulta elevata in caso di malattia. In questi casi, sulla stessa goccia di sangue viene effettuato anche il test per la ricerca delle mutazioni geniche più frequenti, conclusivo per la diagnosi di FC. Laddove non esistano programmi di screening neonatale, la diagnosi avviene per la presenza dei sintomi caratteristici della malattia, ad un’ età molto variabile (da pochi mesi di vita all’età adulta).”
“Quello che l'esperienza L.IN.F.A. ci ha insegnato – conclude Colombo - è che non dobbiamo abbassare la guardia nella sorveglianza di questa categoria di giovani pazienti che sono esposti non solo ai rischi connessi alla malattia di base ma anche a una innumerevole serie di difficoltà nel loro percorso di inserimento sociale. Siamo sempre più convinti della rilevanza di un approccio globale di cura che includa non solo il paziente ma anche la sua famiglia che ugualmente necessita di attenzione e cura, anche considerato che solidarietà e rispetto non sono i valori più praticati a livello sociale. Ciascun adolescente e ciascuna famiglia hanno una storia propria e differente dalle altre poiché la malattia talora non è il solo problema che una famiglia deve affrontare. I genitori devono essere considerati con rispetto e calore per lo sforzo che compiono quotidianamente di trasferire ai propri figli non solo la capacità di curarsi, ma anche la capacità di mantenere un buon livello di qualità di vita che include interessi e attività non connessi solo alla fibrosi cistica. La crescita di un ragazzo o ragazza con fibrosi cistica è un'esperienza unica che i genitori fanno con persone che camminano accanto a loro e ne condividono l'impegno nella cura.”
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