L’Università di Ferrara propone un sistema diagnostico che sfrutta RNA da campioni di cute e riconosce un numero maggiore di mutazioni rispetto a modelli esistenti
Ci sono le perdite di sequenze di DNA oppure tratti di materiale genetico che si duplicano in modo anomalo, o ancora mutazioni di poche lettere nel codice che contiene le informazioni genetiche: sono molte le varianti all'interno del gene per la distrofina, proteina strutturale delle fibre muscolari, che possono portare alla manifestazione di distrofia muscolare di Duchenne e Becker, malattia rara che insorge in età pediatrica.
Si chiama FluiDMD l'ultimo modello sperimentale su cui hanno lavorato i ricercatori dell'Unità Operativa di Genetica Medica dell'Università di Ferrara, diretto e coordinato da Alessandra Ferlini, e s’inserisce all'interno dei sistemi diagnostici che, negli ultimi anni, sono stati ideati e migliorati per identificare il maggior numero di mutazioni su un campione di materiale genetico di paziente. Basato su tecnologie di Applied Biosystem, lo studio sperimentale pubblicato sulla rivista internazionale Human Mutation aggira alcuni ostacoli noti in campo diagnostico quando si parla di queste forme di distrofia muscolare. Primo tra tutti, le grandi dimensioni del gene per la distrofina, il più lungo finora conosciuto, che rendono dispendioso a livello economico e di tempo la ricerca delle mutazioni.
“Esistono già sistemi che identificano bene i vari tipi di mutazioni come il MLPA/CGH e negli ultimi anni ne sono nati molti – spiega Matteo Bovolenta, ricercatore del team che ha condotto lo studio - Questa nostra metodica è quella che riesce, nello stesso momento, a identificare il maggior numero di mutazioni su uno stesso campione. Le prospettive sono quelle di migliorare ulteriormente il design di questo sistema, cercando di portarlo a riconoscere anche variazioni poco frequenti come ad esempio le duplicazioni monoesoniche in frame.”
Il modello diagnostico di cui si è valutata la sensibilità e l'accuratezza ha il vantaggio di sfruttare campioni di materiale genetico a RNA e non a DNA, come altri sistemi oggi in uso nei laboratori di diagnostica, evitando al paziente una biopsia muscolare che può comportare complicanze funzionali in un tessuto muscolare la cui integrità è già compromessa dalla patologia. Prosegue Bovolenta: “Per questioni mediche ma anche etiche riteniamo che la biopsia muscolare, che nei bambini o pazienti distrofici crea complicanze, debba essere evitata quando possibile. Abbiamo perciò testato la possibilità di avere sufficiente materiale genetico disponibile, cioè RNA, da campioni di cute. Un nostro studio precedente aveva già confermato che nella cute del muscolo erettore del pelo la distrofina è ben espressa, perciò campioni prelevati da queste aree possono fornire RNA sufficiente a condurre la ricerca delle mutazioni. Inoltre, un altro vantaggio di questo sistema è che necessita di una quantità di RNA di molto inferiore a quella di DNA generalmente richiesta dai sistemi diagnostici attualmente in uso.”
Lo studio ferrarese, nonostante i buoni risultati preliminari, è ancora in fase di implementazione ed è stato applicato solo su 26 campioni totali: l'ampliamento della casistica e miglioramenti nel design per potenziare le capacità di riconoscimento di mutazioni del sistema saranno i prossimi passi prima che il sistema possa essere adottato come modello diagnostico.
Seguici sui Social