I ricercatori dell’Istituto Gaslini stanno tentando di sfruttare la tecnica RNAi per incrementare l'efficacia della chemioterapia

Un tumore dalla caratteristiche ibride che prende origine dalle cellule, dette neuroblasti, destinate a formare i neuroni generalmente situati nella cresta neurale: parliamo del neuroblastoma, neoplasia dell’infanzia che può rapidamente diffondersi a tutte le parti del corpo e che tende ad essere resistente alla chemioterapia, producendo anche un alto tasso di recidive. Secondo i dati AIRTUM, l'incidenza è di circa 13,8 casi ogni milione di bambini all’anno, con il maggior numero di soggetti colpiti che rientra nella fascia di età compresa tra 0 e 14 anni. Il neuroblastoma, inoltre, comporta una probabilità di sopravvivenza, a 5 anni dalla diagnosi, che si aggira intorno al 75%.

Da soli, questi numeri servono a far comprendere quanto sia importante far registrare progressi nella ricerca di nuove strategie terapeutiche per questa neoplasia. Se l’immunoterapia si sta rivelando un approccio proficuo, come ben testimonia la designazione di “farmaco innovativo” per dinutuximab beta (Qarziba®), prodotto da EUSA Pharma e indicato nel trattamento delle forme di neuroblastoma ad alto rischio, nuove possibili opzioni di cura devono essere studiate e sottoposte a sperimentazione.

Esattamente quello che i ricercatori dell’Istituto Gaslini di Genova (un centro di riferimento per la cura di questa rara patologia dell’infanzia) stanno facendo nell’ambito del progetto Gold for kids, promosso dalla Fondazione Umberto Veronesi per supportare la ricerca nel campo dell’oncologia pediatrica. Il duplice obiettivo di Gold for kids è quello di dare sostegno alla ricerca contro le malattie e i tumori dell’infanzia, promuovendo, al contempo, una corretta informazione sul versante scientifico. All’interno di questo progetto, che vede la collaborazione dell’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (AIEOP) e della sua fondazione, FIEOP, non poteva non trovare spazio il neuroblastoma.

Questo tumore si presenta con sintomi piuttosto vaghi, come la febbre, l’anemia o la perdita di appetito e, in una buona metà dei bambini che colpisce, ha esordio in forma metastatica. Lo studio e la corretta comprensione dei meccanismi molecolari da cui questo tumore scaturisce rappresentano la migliore occasione che hanno i ricercatori per sconfiggerlo, perché la diversità sul piano genetico è un altro subdolo tratto peculiare del neuroblastoma.

Gli scienziati sono stati in grado di individuare alcune precise alterazioni genetiche collegabili alla genesi della malattia ma, nel contesto del progetto Gold for kids, la dott.ssa Daniela Di Paolo, dell’Istituto Gaslini, sta focalizzando la sua attenzione su un altro livello di analisi: quello delle proteine che possono fungere da soppressori del tumore. È noto che esistano geni e proteine che svolgono il ruolo di soppressori dell’attività tumorale (oncosoppressori), e che ne esistano altri potenzialmente capaci di avviare il processo di carcinogenesi (oncogeni). Queste funzioni, tuttavia, possono essere ben assolte anche da brevi sequenze di RNA, i cosiddetti microRNA: a spiegare il concetto, in un'intervista recentemente pubblicata online su Magazine, è proprio la dott.ssa Di Paolo. “Non tutti i geni presenti nel nostro DNA contengono le istruzioni per produrre una proteina”, spiega l'esperta. “Alcuni di questi codificano invece per corte sequenze di RNA, i microRNA, che servono per modulare l’espressione dei geni e controllare la produzione delle stesse proteine. Questi microRNA, infatti, si legano all’RNA prodotto dai geni classici e impediscono che questo venga utilizzato per la sintesi proteica: un meccanismo chiamato interferenza a RNA ["RNA interference" in inglese, N.d.R.], che è valso il Nobel per la Medicina a due ricercatori americani nel 2006. Nelle cellule di neuroblastoma sono stati trovati bassi livelli di specifici microRNA in grado di bloccare l’attività dei geni pro-tumorali. Con il mio progetto punto a ripristinarne i livelli e introdurre nuovi frammenti di microRNA che ne coadiuvino l’azione”.

Lo studio dei geni coinvolti nel processo di cancerogenesi sta dando i suoi frutti e la scoperta del ruolo dei microRNA sta ulteriormente facendo luce su questo meccanismo ma, una volta individuati i punti deboli del tumore, bisogna arrivare abbastanza 'vicino' da poterli attaccare. Per tale ragione, la dott.ssa Di Paolo e il suo gruppo di ricerca stanno studiando la messa a punto di vescicole lipidiche (liposomi) con cui veicolare i microRNA verso le cellule di neuroblastoma. I liposomi, infatti, esprimono sulla loro superficie degli anticorpi a cui le cellule tumorali sono in grado di legarsi. Ciò determina lo svuotamento del contenuto del liposoma all’interno di queste cellule, permettendo ai microRNA di agire direttamente contro il tumore.

Un articolo apparso sulla rivista Molecular Therapy sullo studio dei liposomi quali vettori di agenti terapici innovativi aveva già indicato che questa via era percorribile e, potenzialmente, molto valida. Adesso i ricercatori sperano che la somministrazione di microRNA tramite vescicole lipidiche possa combinarsi con quello dei farmaci chemioterapici usati per contrastare il neuroblastoma, potenziandone l’effetto: dopo le nuove scoperte nel settore dell’immunoterapia, un nuovo balzo avanti che potrebbe contribuire ad abbassare le difese del tumore, permettendo un trattamento che migliori la sopravvivenza dei piccoli malati.

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