Da oggi c’è un nuovo bersaglio terapeutico in più su cui ci si potrebbe concentrare la terapia della Leucemia Mileoide Cronica (AML), un tumore raro del sangue che si manifesta in età adulta. Si tratta di una mutazione del gene DNMT3A appena individuata come responsabile del fallimento, in un numero consistente di casi, delle normali terapie contro la malattia. La grande novità viene da uno studio americano pubblicato questa mattina stessa sull’edizione on line del New England Journal of Medicine a seguito di uno studio sostenuto da vari dipartimento del National Institutes of Health (NIH) e condotto presso la Washington University School of Medicine. La squadra di ricercatori che ha lavorato allo studio è partita dal sequenziamento del genoma di due pazienti di AML e qui ha scoperto una nuova mutazione. Da questo è partito un secondo studio mirato su un campione di circa 300 pazienti. Questa successiva ricerca ha dimostrato che le mutazioni nei geni IDH2 e IDH1 sono altamente ricorrenti nei pazienti con un profilo di rischio citogenetico intermedio e sono associati con una prognosi sfavorevole in alcuni sottogruppi di patienti.
A seguito di questi risultato è stato fatto un ulteriore sequenziamento che ha portato a rilevare una mutazione nel gene DNMT3A nel 21 per cento di tutti i pazienti affetti dalla malattia e addirittura del 34 per cento dei pazienti classificati come ischio intermedio di fallimento del trattamento sulla base di prove di laboratorio a cui sono state sottoposte le loro stesse cellule leucemiche.
Attualmente più della metà dei pazienti con AML sono classificati come aventi un rischio intermedio e sono quindi in genere trattati con chemioterapia standard. Nei pazienti con la mutazione DNMT3A, però, la chemioterapia sembra non essere il miglior trattamento.
Non a caso i pazienti a cui è stata riscontrata questa mutazione sono sopravvissuti mediamente un anno contro i tre anni e mezzo di quelli che non mostravano la mutazione e questo dovrebbe suggerire che per chi ha questo specifico profilo genetico debba esserci una terapia più aggressiva “e che – ha detto il prof Richard K. Wilson, uno degli autori dello studio – forse andrebbero inseriti tra quelli che hanno diritto ad un trapianto di midollo osseo”.
Lo studio infatti si è concentrato anche sui risultati di un eventuale trapianto ed hanno evidenziato che i pazienti con mutazioni DNMT3A trapiantati hanno vissuto più a lungo rispetto a quelli che hanno ricevuto solo la chemioterapia. Si tratta tuttavia solo di un primo risultato poiché, come avvertono gli stessi ricercatori, questo specifico studio è stato effettuato su un campione esiguo e saranno anche necessari studi di follow – up per confermare questi dati iniziali.
Questo studio fa parte di un progetto Cancer Genome Atlas (TCGA) nato nel 2006 da a una collaborazione tra il National Cancer Institute e il National Human Genome Research Institute, entrambe componenti del NIH. Scopo del progetto è quello di confrontare il genoma delle cellule tumorali col genoma delle cellule normali del stesso paziente. Questo permette di individuare i cambiamenti genetici che causano la crescita incontrollata di una cellula tumorale. Insieme, i dati TCGA possono essere collegati ai dati clinici per aiutare i ricercatori a comprendere le caratteristiche del tumore in fase di studio. Il progetto prevede di analizzare fino a 500 campioni di tumori e di tessuti normali in 20 principali tipi di cancro per i prossimi cinque anni.
Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.
Seguici sui Social