Sopravvivere anche due anni senza alcuna ricaduta alla leucemia mieloide cronica grazie al trattamento con il farmaco orfano imatinib, un inibitore competitivo dell'attività della tirosin-chinasi autorizzato al commercio nel 2001, farmaco intelligente che attualmente viene utilizzato in combinazione con la chemioterapia. Sono questi i risultati decisamente positivi di uno studio multicentrico francese guidato dal prof François-Xavier Mahon e condotto dal gruppo cooperativo FILMC (Intergroupe Français des Leucémies Myéloïdes Chroniques), i cui risultati sono stati appena pubblicati sul Lancet Oncology. Secondo lo studio infatti alcuni pazienti sono sopravvissuti fino a due anni senza ricadute dopo aver interrotto il trattamento con il farmaco, che dimostra così di avere effetti duraturi, un risultato che suggerisce che la malattia possa trovare una cura negli inibitori della tirosin chinasi. È un risultato che è destinato a cambiare probabilmente il metodo di cura della malattia visto che attualmente si tende ad utilizzare il farmaco, che oltre ad essere molto costoso ha anche degli importanti effetti collaterali, senza un termine di durata del trattamento definito.
I ricercatori francesi hanno seguito per 12 mesi 69 pazienti affetti da leucemia mieloide cronica che erano stati trattati con il farmaco per almeno 3 anni e che da almeno due anni erano in remissione, non mostravano cioè i sintomi di questo tipo di cancro. I risultati hanno mostrato che il 41% di essi erano ancora in remissione molecolare completa (RMC) dopo un altro anno di follow up - cioè non mostravano all’analisi molecolare l’espressione del gene di fusione BCR-ABL che codifica per una tirosin-chinasi costitutivamente attiva - e il 38% lo era anche dopo due anni.
Le buone notizie però ci sono state anche per quei pazienti che una volta interrotto il farmaco sono andati incontro a una ricaduta, tutti, infatti, hanno mostrato una risposta quando hanno ricominciato ad assumere il farmaco: 16 su 42 hanno mostrato una riduzione dei livelli di BCR-ABL e 26 hanno raggiunto una CMR prolungata. Ciò, secondo gli autori, suggerisce che l'interruzione della terapia non provoca resistenza al farmaco e non comporta problematiche di sicurezza.
Nonostante ciò, il team francese sottolinea che la remissione completa è stata più un'eccezione che la regola in questi pazienti. "Una RMC prolungata, come quella che abbiamo utilizzato quale criterio di inclusione nello studio - scrivono i ricercatori - non è un risultato frequente del trattamento con imatinib. Perciò, i soggetti candidabili alla sospensione del trattamento sono pochi, circa il 10%. Per quei pochi, tuttavia, i risultati confermano che il farmaco si può interrompere in sicurezza”.
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