Attualmente però le uniche possibilità concrete vengono dal trapianto. In Italia il centro di eccellenza è a Napoli

L’Anemia di Fanconi (FA) è una di quelle malattie rare di origine genetica che, nonostante siano noti i numerosi geni che la determinano, non ha ancora nessuna cura risolutiva: l’unica speranza ad oggi è nel trapianto di midollo osseo, in assenza di questo buona parte dei pazienti muore nel primo ventennio di vita, anche se ci sono casi di sopravvivenza fino a 40 anni e oltre. Parte della ricerca, come per molte malattie rare, si indirizza verso la terapia genica. Un interessante passo avanti su questa strada è stato compiuto da un gruppo di ricerca internazionale guidato dalla dottoressa Pamela Becker della Divisione di Ematologia della University oh Washington School of Medicine di Seattle che ha messo a punto una procedura per ridurre al minimo il danno abbreviando i tempi di trasduzione, abbassando la tensione di ossigeno dell’ambiente di crescita cellulare (5% invece di 21%) e aggiungendo alla coltura agenti riducenti che contrastano l’azione dei radicali liberi dell’ossigeno.

I problemi principali incontrati da chi studia la terapia genica nell’anemia di Fanconi riguardano la ipersensibilità delle cellule staminali di pazienti - in cui si opera l’inserimento (trasduzione) del gene corretto attraverso vettori virali (come i lentivirus) - ai danni indotti al DNA dai radicali liberi dell’ossigeno. Uno degli aspetti della malattia è infatti una elevata instabilità cromosomica: i cromosomi, spontaneamente o esposti ad alcune sostanze, si rompono e si ricombinano in maniera peculiare. Ulteriori problemi cui non si è ancora trovata efficace soluzione, comuni a tutti i tentativi di terapia genica a qualunque malattia applicati, sono rappresentati dalla scelta del vettore, che sia capace di integrarsi al genoma del paziente senza causare danni nel tempo e dalla efficacia di tale integrazione, legata soprattutto alla sua durata.
Le nuove condizioni di coltura messe a punto dal team della dottoressa Becker hanno determinato un incremento della crescita cellulare, una maggiore efficacia di trasduzione ed una maggiore sopravvivenza cellulare. La tecnica è stata realizzata finora solo in cellule che presentano alterazioni del gene A, che interessano il 65% dei pazienti Fanconi.
Lo studio è ancora in fase preclinica, ma potrebbe nel tempo portare allo sviluppo di una terapia genica in fase sperimentale. Questa notizia è particolarmente importante vista la gravità dei sintomi della malattia, molto eterogenea nelle sue manifestazioni, ma comunque caratterizzata da insufficienza del midollo osseo, in molti casi anche da malformazioni congenite varie e suscettibilità allo sviluppo della leucemia mieloide acuta (AML) e di tumori solidi.
“Questo risultato è molto incoraggiante – dice la dr.ssa Rita Calzone, dirigente presso il Servizio di Genetica della Asl 1 di Napoli, diretto dalla prof.ssa Adriana Zatterale, presso cui si trova l’unico Registro italiano della malattia che attualmente conta 172 pazienti – D’altro canto anche per il trapianto di midollo nei pazienti con anemia di Fanconi le possibilità di esito favorevole sono nettamente aumentate da quando si utilizzano trattamenti più adeguati alla sensibilità delle cellule dei pazienti, permettendo di operare con successo trapianti preferibilmente da donatori consanguinei compatibili, ma anche da donatori non consanguinei o consanguinei ma solo parzialmente compatibili”.
Ed è proprio a Napoli e grazie all’azione competente del Servizio di Genetica dell’ASL 1, che dagli anni ’80 è di fatto centro di riferimento nazionale per la consulenza genetica e la diagnostica dei pazienti con anemia di Fanconi, che nel 2002 è stato realizzato il primo trapianto in Italia utilizzando le staminali del cordone ombelicale di un neonato sano, nato ad una coppia che aveva già due bambine malate della malattia. Grazie alla diagnosi prenatale fatta su villi coriali, le genetiste hanno dimostrato che il nascituro non era affetto dalla malattia ed era inoltre compatibile con entrambe le sorelline. Il trapianto è stato effettuato con successo a Napoli su una delle due sorelline, che era in condizioni cliniche già compromesse, e la certezza di avere in famiglia il donatore consanguineo e compatibile ha restituito serenità e fiducia nel futuro ai genitori.

Fonte: Gene Therapy


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