Chiuso in anticipo lo studio di efficacia di idelalisib con rituximab per i risultati incoraggianti. La FDA stabilirà se sottoporli a revisione anticipata
Nuove prospettive per pazienti con leucemia linfatica cronica che non rispondono o non tollerano le attuali terapie: a darne notizia il "New England Journal of Medicine" con uno studio americano che ha presentato l’efficacia di idelalisib, un agente sperimentale capace di inibire il meccanismo di patogenesi della malattia, in terapia combinata con rituximab, un anticorpo monoclonale oggi in uso. I risultati sono stati incoraggianti, tanto che lo studio pilota è stato anticipatamente concluso e la FDA ha dichiarato la nuova molecola ‘innovativa e promettente’ (breakthrough status) per questa forma tumorale. In particolare, la scarsa tossicità osservata fa sì che la terapia possa diventare una valida alternativa soprattutto per i pazienti più anziani.
Nonostante la leucemia linfatica cronica sia il tumore del sangue più diffuso nel mondo occidentale, con 1100-1600 nuovi casi l’anno solo in Italia, molti pazienti hanno ancora poche opzioni terapeutiche. I trattamenti standard (che includono i nuovi analoghi di purine, agenti alchilanti e anticorpi monoclonali) si sono dimostrati piuttosto efficaci, tuttavia sono caratterizzati da alta citotossicità e non è infrequente osservare casi di resistenza ai farmaci, soprattutto nei soggetti sottoposti a precedenti cicli di terapia. Inoltre le terapie standard non sono adatte a tutti: la discriminante, come accade anche per altre neoplasie, è l’età e sono i pazienti anziani a correre più rischi, anche per la presenza di altre malattie. Quasi un paradosso, se si considera che la leucemia linfatica cronica colpisce prevalentemente dopo i 65 anni e solo il 15% dei pazienti ha meno di 60 anni.
Per questa ‘delicata’ popolazione di pazienti le linee guida internazionali suggeriscono la somministrazione di rituximab, un anticorpo monoclonale non ancora approvato come monoterapia. Però la risposta dei pazienti a questo farmaco è variabile e limitata la sopravvivenza libera da progressione della malattia. Il gruppo di ricerca americano, coordinato dal Weill Medical College of Cornell University di New York, ha condotto uno studio di fase III, randomizzato e in doppio cieco, sull’efficacia di idealisib, un inibitore della fosfatidilinositol-3-chinasi (nell’isoforma delta, PI3K delta) che aveva precedentemente dimostrato di interferire con la cascata di reazioni immunitarie caratteristica di questo tipo di leucemia. Scarsamente citotossico, il farmaco è stato testato su 220 pazienti (arruolati tra maggio 2012 e agosto 2013), di età prevalentemente superiore ai 65 anni e con preesistenti comorbilità, come disfunzione renale (nel 40%) e scarsa attività midollare (nel 35%). I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi, uno assegnato alla terapia combinata con idelalisib e rituximab, l’altro al placebo.
Le prime analisi dei dati, oltre a confermare la sicurezza del trattamento, hanno giustificato uno stop anticipato per i risultati promettenti: dopo 24 settimane, il tasso di sopravvivenza libera da progressione è stato del 93% (a confronto con il 46% nel gruppo con placebo) e sono stati registrati miglioramenti significativi anche nella sopravvivenza generale a 12 mesi e nella risposta terapeutica.
“Anche se il follow-up dello studio è stato breve, la terapia combinata ha dimostrato un profilo di sicurezza del tutto accettabile. E’ chiaramente necessario un ulteriore monitoraggio dei pazienti per stabilire se idelalisib è sicuro anche per trattamento a lungo termine”, commentano i ricercatori.
Mentre il gruppo di studio prosegue, si attende la decisione della FDA che non ha ancora annunciato se i dati saranno sottoposti a revisione accelerata di 6 o 12 mesi.
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