Un gruppo di lavoro ad hoc chiede l’inclusione nell’elenco delle malattie rare e più attenzione ai farmaci orfani dedicati
Roma – I tumori rari costituiscono una famiglia eterogenea di patologie che possono colpire pressoché tutti i distretti corporei e tutte le fasce d’età: la lista stilata da RARE-CARE (Surveillance of Rare Cancers in Europe) sulla base del ICD-O (International Classification of Diseases for Oncology), ne ha individuati circa 250, ma alla luce della sempre maggiore caratterizzazione genetica del tumore, questo numero è destinato rapidamente ad aumentare. L’8 novembre scorso al Senato è stata presentata una memoria proprio su questo tema.
A presentare la memoria erano presenti il dottor. Marco Vignetti, della Fondazione Gimema – per la promozione e lo sviluppo della ricerca scientifica sulle malattie ematologiche, il Prof. Francesco De Lorenzo, Presidente e Fondatore AIMaC – Associazione Italiana Malati di Cancro nonché Presidente FAVO – Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia e il dott. Paolo Casali, Responsabile Struttura Semplice Trattamento Medico dei Sarcomi dell’Adulto, Istituto Nazionale Tumori, Milano. Sintetizziamo di seguito i dati presentati e le richieste avanzate da questi esperti in rappresentanza del ‘Gruppo di lavoro per i tumori rari’.
“Il problema di queste neoplasie – affermano nella documentazione - è già piuttosto rilevante in termini quantitativi perché, anche se risulta bassa l’incidenza di ciascun tumore, è elevato il numero totale dei casi: siamo infatti al 16 per cento di tutti i casi di malattia neoplastica dove i tumori pediatrici, che colpiscono prevalentemente i bambini al di sotto dei 3 anni d’età, rappresentano meno dell’1 per cento , le neoplasie ematologiche rare meno del 5 per cento, mentre le neoplasie rare solide dell’adulto (come i sarcomi o il GIST, il tumore gastrointestinale stromale, i NET-tumori neuroendocrini etc.) sono circa il 10 per cento di tutti i casi di tumore.
Ai tumori rari sono associate una serie di problematiche correlate principalmente al fatto di essere prima di tutto una malattia rara, per cui per i pazienti ci sono mille difficoltà a reperire i centri che dispongono di expertise e competenze, perché sono pochi e geograficamente dispersi; poi c’è la conseguente complessità di ottenere una diagnosi clinica e patologica certa e tempestiva e ad essere assistiti con tutte le competenze necessarie (carenza di strutture specialistiche dedicate con approccio multidisciplinare, mancanza di consuetudine clinica nella maggior parte dei centri oncologici); infine c’è la limitata disponibilità di terapie efficaci (per l’80 per cento delle malattie rare in Europa ci sono solo uno o due farmaci disponibili), che si collega anzi si somma alla difficoltà dello sviluppo di trial clinici dovuto al numero esiguo di pazienti e alla potenziale carenza d’interesse economico da parte delle aziende farmaceutiche per lo sviluppo di nuove terapie”.
La documentazione presentata prosegue con un’analisi della situazione del nostro paese.
“In Italia, - si legge - a differenza di quanto avviene in Europa, i tumori rari, sebbene rappresentino una percentuale consistente di patologie non comunemente riscontrabili, non sono ancora ricompresi nell’elenco nazionale delle malattie rare, che attualmente include solo due tumori pediatrici (tumore di Wilms e retinoblastoma), una neoplasia come la linfangioleiomiomatosi, quattro condizioni predisponenti (malattia di Cronkhite-Canada, sindrome di Gardner, poliposi familiare e neurofibromatosi) ed esclude tutti gli altri tipi di tumori, anche quelli che, come la definizione di malattia rara insegna, hanno una prevalenza minore di 50 casi su 100.000 e rappresentano circa il 20-30 per cento dei nuovi casi di tumore maligno. Così i pazienti che purtroppo sono affetti da queste condizioni, non solo non hanno a disposizione canali facilitati per l’informazione e la cura, ma non riescono neppure a beneficiare dei vantaggi e delle misure previste per migliorare la ricerca, l’assistenza e l’accesso rapido alle terapie. I problemi per queste malattie progressive a esito fatale, sono poi ulteriormente aggravati dalla regionalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, che impone disparità di trattamento, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche di accesso ai farmaci, che diventano un fattore fondamentale per i pazienti: avere accesso al farmaco in tempi ragionevoli può significare aver salva la vita o allungare la sopravvivenza.
L’impatto che tutto ciò provoca sul nostro sistema socio-sanitario si traduce in un surplus di costi per l’SSN, sia perché ci sono prestazioni improprie, eseguite al di fuori dei Centri di riferimento, con potenziale impatto sfavorevole sulla prognosi del paziente, sia perché c’è molta migrazione sanitaria interregionale, a causa della frammentazione delle competenze, con conseguenze sia dal punto di vista sociale che economico per i pazienti ed i familiari.”
Come risolvere - domanda il gruppo di lavoro - queste problematiche che derivano essenzialmente da rischi di disomogeneità nella qualità di cura e da un difetto di “evidenza”?
“Il problema della qualità di cura è in genere affrontato facilitando il riferimento dei pazienti a centri di eccellenza e/o creando reti geografiche collaborative, che rendano disponibile l’expertise dei centri di eccellenza anche al di fuori di essi. In Italia, le reti oncologiche ed ematologiche regionali e la Rete Tumori Rari (quest’ultima limitatamente ai tumori rari solidi dell’adulto) cercano di affrontare in questo modo le problematiche del riferimento elettivo dei pazienti e della condivisione dell’expertise clinico disponibile. Il problema del difetto di evidenza in rapporto alla bassa numerosità è in genere affrontato attraverso ampi sforzi collaborativi, anche internazionali, soprattutto per i tumori più rari. Questo però non pare ancora sufficiente e non risolve le possibili difficoltà in termini di qualità di cura. Un altro ordine di possibili soluzioni risiede nelle metodologie innovative della ricerca clinica, attraverso l’uso di disegni di studio alternativi, di end-point surrogati, di approcci bayesiani alla combinazione delle evidenze disponibili (oltre che al disegno ed all’analisi dei singoli studi). La European Society for Medical Oncology (ESMO) ha lanciato un’iniziativa europea “multi-stakeholder” che è attualmente in corso e che ha previsto, nel febbraio 2012, un incontro di consenso sulla metodologia della ricerca clinica nei tumori rari (www.rarecancers.eu). Occorrono certamente dei criteri, sia normativi sia scientifici, specifici per i pazienti con tumore raro, se si vuole evitarne la discriminazione nell’accesso alle cure, con particolare riferimento ai nuovi farmaci che oggi si rendono disponibili e che spesso trovano proprio nei tumori rari dei potenziali bersagli sensibili”.
La problematica legata ai farmaci orfani
“Una serie di normative che ha rappresentato una grande conquista della comunità delle malattie rare è quella che si riferisce ai farmaci “orfani”. L’Unione Europea prevede una serie di facilitazioni per lo sviluppo dei farmaci con indicazione nelle malattie rare, essenzialmente rappresentate da incentivi alle aziende farmaceutiche che sviluppino nuovi farmaci in malattie rare, cioè in malattie a basso mercato e dunque a limitato vantaggio economico. Se questo ha certamente determinato lo sviluppo di molti farmaci oncologici anche in indicazioni rare, vi è tuttavia un limite concettuale nelle normative sui farmaci orfani. In pratica, il vantaggio che esse comportano vale essenzialmente a condizione che il farmaco ottenga poi l’approvazione regolatoria.
Inoltre, sempre più il problema attuale dei nuovi farmaci nell’Unione Europea è rappresentato dal divario fra approvazione regolatoria centralizzata (da parte dell’EMA) e rimborsabilità a livello nazionale, ed anche regionale.
In altri termini, il difetto di evidenza, intrinseco ai tumori rari, potrebbe tradursi in un “rischio registrativo” percepito come elevato dall’azienda, a prescindere dalle facilitazioni che eventualmente si avrebbero in caso di sviluppo, e in un rischio di “non rimborsabilità” anche dopo l’eventuale registrazione in molti Paesi europei. Tutto questo fa sì che lo sviluppo di alcuni farmaci con potenziale indicazione in tumori rari, soprattutto quelli “molto rari”, sia comunque limitato, nonostante le normative sui farmaci orfani”.
Le richieste del gruppo di lavoro sui tumori rari
Per ovviare a queste condizioni e poter garantire parità di diritti di cura a tutti i cittadini il Gruppo di lavoro ha presentato alla XII commissione in Senato delle richieste che si basano su pochi obiettivi operativi fondamentali:
- Inserire i tumori rari nell’Elenco Nazionale delle Malattie Rare, perché questo provvedimento finalmente allinea l’Italia all’Europa dal punto di vista normativo e diventa un presupposto doveroso di qualsiasi ulteriore misura specifica.
- Considerare possibili correttivi sull’uso “off-label” e sull’uso “compassionevole” dei farmaci orfani nel nostro contesto normativo per accelerare le procedure di approvazione a livello regionale al fine di velocizzarne l’inserimento e la disponibilità, tramite il loro inserimento automatico nei Prontuari terapeutici ospedalieri territoriali regionali, eliminando il criterio dell’esistenza almeno di studi già conclusi di fase 2 (basterebbe venisse conclusa la fase 1 e ci fossero gli studi in fase 2 relativamente ad altre patologie), rivedendo il requisito dell’esistenza di un piano di sviluppo del farmaco nell’indicazione in oggetto, sensibilizzando in maniera più incisiva i Comitati Etici e le Amministrazioni circa la possibilità di utilizzare le procedure d’urgenza, per fare in modo che le terapie siano rese disponibili in tempi ragionevoli.
- Con riferimento alla normativa e alle prassi sull’uso “off-label” dei farmaci registrati in Italia per altre indicazioni, occorrerebbe inoltre prevedere l’inserimento anche delle indicazioni “rare” negli Elenchi di AIFA ai sensi della Legge 648/96 e l’erogazione esclusivamente presso centri di riferimento per i tumori rari individuati su base regionale, dietro approvazione da parte del Comitato etico e registrazione prospettica dei dati clinici, con “pubblicazione” di tutti i casi almeno su siti web appositi a scadenze almeno annuali.
- Tramite questa possibilità si potrebbero addirittura generare evidenze come negli studi no profit, cosa preziosa nel campo dei tumori rari.
- Inserire d’ufficio i farmaci orfani per tumori rari nella lista dei farmaci in compensazione sia interregionale che intraregionale (file F) per agevolare l’accesso dei pazienti, rimuovendo discriminazioni legate a modalità di rimborso. La Regione/ASL di residenza del paziente sarebbe così obbligata al rimborso e chi eroga il farmaco avrebbe garanzia di rimborso.
- Favorire l’iter parlamentare del ddl n. 52/2008 (Incentivi alla ricerca e accesso alle terapie nel settore delle malattie rare), il quale giace presso la XII Commissione del Senato ormai da 4 anni
“Indubbiamente – sostengono - si tratterebbe di primi provvedimenti non a carattere esaustivo per la risoluzione di tutti i problemi che incontrano i pazienti affetti da tumori rari, che però, se attuati con carattere di urgenza, darebbero un segnale importante alla comunità dei malati e aprirebbero la strada a percorsi più definitivi che dovrebbero riguardare l’iter regolatorio dell’approvazione dei nuovi farmaci e, più in generale, la generazione di evidenza con metodologie innovative”.
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