Due recenti studi aprono nuove prospettive per una patologia in costante aumento
Trentasei milioni di pazienti nel mondo, destinati a triplicare entro il 2050; mezzo milione solo in Italia: la malattia di Alzheimer è in aumento e ha una pesante ricaduta anche sul piano socioeconomico. Dato che l’incidenza aumenta progressivamente con l’età, oltre gli ottant’anni una persona su cinque ne è affetta, e ancora non esiste un trattamento capace di far regredire i sintomi o arrestarne la progressione. Per i ricercatori, dunque, sconfiggere la malattia costituisce una sfida impegnativa, e negli ultimi mesi sono stati pubblicati due studi scientifici che hanno fatto fare un passo avanti alla ricerca per questa terribile patologia e per gli altri tipi di demenza.
DUE MALATTIE CORRELATE?
Il primo studio, apparso sul Journal of Clinical Investigation, ipotizza che fra diabete e malattia di Alzheimer ci possa essere un legame: livelli elevati di glucosio nel sangue, infatti, possono far aumentare rapidamente i livelli di beta-amiloide, componente chiave delle placche cerebrali che caratterizzano i malati di Alzheimer e il cui accumulo è ritenuto un driver precoce della complessa serie di cambiamenti che portano allo sviluppo della malattia.
“I nostri risultati suggeriscono che il diabete o altre condizioni nelle quali è difficile tenere sotto controllo la glicemia possano avere effetti nocivi sulla funzionalità cerebrale e aggravare malattie neurologiche come la malattia di Alzheimer” spiegano gli autori, coordinati da Shannon Macauley, della Washington University di St. Louis. “Il legame che abbiamo scoperto potrebbe portare a delineare futuri obiettivi terapeutici in grado di ridurre questi effetti”.
Per capire in che modo valori di glicemia elevati potrebbero influenzare il rischio di malattia di Alzheimer, i ricercatori hanno sottoposto a infusioni di glucosio dei topi allevati in modo da sviluppare una condizione simile all’Alzheimer. Hanno così scoperto che nei topi giovani, senza placche amiloidi nel cervello, un raddoppio dei livelli della glicemia portava a un aumento dei livelli di beta-amiloide nel cervello del 20%.
Quando l’esperimento è stato ripetuto nei topi anziani, che già avevano sviluppato placche cerebrali, i livelli di beta-amiloide sono aumentati del 40%. Ulteriori esperimenti hanno poi dimostrato che i picchi glicemici hanno portato a un aumento dell’attività neuronale, che ha a sua volta promosso la produzione di beta-amiloide.
I ricercatori stanno anche studiando in che modo i cambiamenti causati da un aumento dei livelli glicemici influenzano la capacità delle regioni cerebrali di interconnettersi tra loro e completare le attività cognitive. “Nei malati di Alzheimer un aumento eccessivo dell’attività neuronale rischia di danneggiare ulteriormente la funzionalità cerebrale”, ha affermato David Holtzman, direttore del dipartimento di neurologia della Washington University e autore senior dello studio. “Pertanto – ha sottolineato Holtzman – un buon controllo glicemico può prevenire il peggioramento delle funzioni cognitive in tempo reale, giorno dopo giorno, nei pazienti con malattia di Alzheimer ed elevati livelli di glicemia”.
UNA NUOVA PROTEINA NEUROPROTETTIVA
Un’altra speranza nasce da una proteina che già in passato aveva dimostrato la sua efficacia nel contrastare le demenze. La relina – questo il nome – ha la funzione di regolare la migrazione cellulare nel cervello in via di sviluppo, e di rafforzare le connessioni sinaptiche in quello maturo, modulandone la plasticità.
Un esperimento condotto sul modello murino ha mostrato la funzione protettiva di questa proteina: la sua azione di potenziamento delle sinapsi potrebbe contrastare la loro perdita, tipica delle demenze. La buona notizia viene da uno studio appena apparso sulla rivista Science Signaling.
Un gruppo di ricercatori, guidato dal professor Joachim Herz del dipartimento di genetica molecolare della University of Texas e del Center for Neuroscience della Albert-Ludwigs-University di Friburgo, ha osservato l’effetto della relina sul cervello dei topi. Nella malattia di Alzheimer si verifica un’iperproduzione della proteina beta-amiloide, che accumulandosi forma delle placche: queste inducono nell’uomo la morte neuronale e il decadimento cognitivo.
Disattivando il gene della relina nei topi adulti sani, si è visto che gli animali continuavano a vivere normalmente senza alcun decadimento cognitivo. Ma, al comparire delle placche, non sono stati in grado di fronteggiare la soppressione sinaptica e hanno sviluppato deficit di memoria e di apprendimento. La relina potrebbe quindi rivelarsi un’arma efficace per prevenire la malattia o rallentarne la progressione.
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