In Oltralpe, come Italia, trascorre troppo tempo prima che un medicinale approvato arrivi al paziente
Spesso, quando si parla di malattie rare, si corre il rischio di considerare questi disturbi come una ‘mosca bianca’, un qualcosa che è lontano dalla vita quotidiana della stragrande maggioranza delle persone, a cui perciò l’argomento dovrebbe interessare poco, se non per nulla. Dati alla mano, però, la realtà è ben altra: collettivamente, infatti, le malattie rare colpiscono circa 30 milioni di persone all’interno dell’Unione Europea. Una marea di pazienti, pari all’incirca alla popolazione di Paesi Bassi e Grecia messi insieme, che ogni giorno affronta le sintomatologie più svariate.
Nella maggior parte dei casi, per i malati rari, tutto ciò si traduce, oltre che in un dolore fisico e psicologico e in una drastica riduzione della qualità di vita, in un ingente dispendio economico; ma a differenza di quanto si possa ingenuamente pensare, quest’ultimo non colpisce solo i pazienti e le loro famiglie, bensì l’intera collettività: in molti casi, infatti, le patologie rare sono anche croniche e debilitanti, e comportano dei costi (legati all’acquisto di medicinali e ausili, a visite ed esami, a ospedalizzazioni e perdita di produttività sul lavoro) che sono per la gran parte a carico dei servizi sanitari dei singoli Paesi.
Per contrastare tutto ciò, la ‘ricetta’ sembrerebbe scontata: incrementare la ricerca scientifico-farmacologica, con conseguente produzione di farmaci specifici per ogni patologia rara, in grado, se non di rappresentare una cura definitiva, di contrastarne i sintomi più gravi. Tuttavia, le complesse sperimentazioni cliniche necessarie per creare, testare e commercializzare un nuovo farmaco hanno un costo molto alto (secondo una stima effettuata dall’Università di Medicina di Boston, per lo sviluppo di un farmaco servono più di 2,5 miliardi di dollari): il più delle volte, perciò, le aziende produttrici – per le quali il possibile profitto, come del resto per tutte le altre aziende e attività commerciali, è un elemento cruciale all’interno dei processi decisionali – decidono di non intraprendere un percorso così dispendioso, a fronte di prodotti che verrebbero utilizzati, nell’ambito di una singola patologia rara, solo da poche migliaia di persone in Europa.
È qui che entra in campo il welfare comunitario, con una normativa che incentiva, anche dal punto di vista economico, la ricerca e lo sviluppo dei cosiddetti farmaci orfani (ossia i farmaci per le malattie rare). La legislazione europea (Regolamento CE N.141/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa) riprende i concetti e le strategie proposte dall’Orphan Drug Act di matrice statunitense, approvato nel 1983. Anche grazie a questa normativa, dal 2000 a oggi, diverse decine di farmaci orfani hanno ottenuto l’autorizzazione europea per la commercializzazione.
Tuttavia, non è detto che un medicinale prodotto e commercializzato sia automaticamente accessibile per il paziente che ne ha bisogno: l’accessibilità dei farmaci, infatti, dipende da diversi fattori (tra cui l’organizzazione del servizio sanitario di una Nazione e le modalità di rimborso del farmaco) ed è attualmente eterogenea tra i diversi Paesi dell’Unione Europea. Capire l’effettiva disponibilità dei farmaci orfani prodotti e commercializzati è però fondamentale se si vuole valutare l’efficacia, per i pazienti, delle normative adottate: è nel solco di questa linea di ricerca che si innesta uno studio pubblicato sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases, che analizza i dati di accessibilità dei farmaci per malattie rare in Francia. I dati, registrati nell’agosto del 2016, hanno preso in considerazione i 91 farmaci orfani attualmente registrati in Europa, corrispondenti a 115 indicazioni terapeutiche.
Per valutare la reale accessibilità di questi medicinali per i pazienti, sono stati considerati quattro fattori:
- effettiva commercializzazione del farmaco, ossia la sua disponibilità sul mercato francese;
- facilità di reperimento dal punto di vista del paziente, assumendo in questo frangente che alcune restrizioni nella prescrizione/distribuzione possano rappresentare delle barriere in ottica di accessibilità del farmaco;
- accesso dal punto di vista finanziario, in termini di entità dei rimborsi;
- tempo necessario per ottenere il farmaco orfano, a partire dal momento in cui ottiene l’autorizzazione al commercio fino al momento, successivo alle trattative di definizione di prezzo e rimborso, in cui viene effettivamente distribuito.
Tutti questi dati sono stati raccolti da diversi database francesi, tra cui quello dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Farmaco (l’equivalente della nostra AIFA), dell’Autorità Nazionale per la Salute e dell’Ente nazionale di previdenza sociale, responsabile delle assicurazioni sanitarie.
Al momento in cui lo studio è stato effettuato, per 94 indicazioni terapeutiche, delle 115 totali identificate a livello comunitario, era disponibile un responso dell’Autorità Nazionale per la Salute francese: 4 di queste avevano ricevuto un parere negativo riguardo al rimborso (basato su dati insufficienti riguardanti l’efficacia clinica del farmaco orfano), restringendo il campo di indagine a 90 indicazioni terapeutiche.
I risultati dell’indagine rivelano che, in Francia, l’uso dei farmaci orfani per determinate indicazioni terapeutiche è altamente regolato: il 21% di questi medicinali è riservato all’uso ospedaliero, mentre più del 60% richiede un monitoraggio specifico e una prescrizione ospedaliera. Quindi, per la maggior parte delle indicazioni terapeutiche valutate (62 su 90, ossia circa il 70%), i farmaci orfani vengono somministrati in Francia solo all’interno dei circuiti ospedalieri e delle farmacie ad essi correlate, mentre per il restante 30% delle indicazioni, i farmaci vengono anche distribuiti nelle comuni farmacie, garantendo così un’accessibilità più ampia.
Per le 90 indicazioni terapeutiche approvate in Francia, il periodo medio intercorso tra l’autorizzazione al commercio a livello europeo e l’accesso al mercato nazionale è stato di 360 giorni. Se in Francia, anche a detta degli autori dello studio, un miglioramento su questo aspetto è non solo auspicabile, bensì necessario, lo stesso principio può essere valido anche in Italia. I dati del III Rapporto OSSFOR, discussi di recente in occasione del IV Orphan Drug Day, mostrano che nel nostro Paese, per ottenere il rimborso di un farmaco orfano, occorrono in media 239 giorni.
Tornando alla Francia, ai pazienti ospedalizzati non è richiesto alcun contributo per l’acquisto di farmaci orfani. Per i pazienti che invece li acquistano in farmacia, sono previsti diversi scaglioni di rimborso: i risultati dell’indagine rivelano che il 72% delle indicazioni terapeutiche collegate a un farmaco orfano è rimborsato totalmente; il 22,1% è rimborsato al 65%; il 5,9% (4 indicazioni terapeutiche) è rimborsato solamente al 30%.
Al di là delle singole percentuali, lo studio francese solleva delle questioni che possono benissimo essere applicate anche alla discussione sui farmaci orfani in Italia: innanzitutto è facile notare come le restrizioni prescrittive e i sistemi di distribuzione del farmaco abbiano un fortissimo impatto sulla facilità di accesso allo stesso da parte del paziente. Qual è allora – si chiedono gli autori stessi – l’interesse collettivo nell’incentivare lo sviluppo e l’approvazione di questi farmaci, se poi essi non sono realmente accessibili a chi ne ha bisogno?
Una possibile soluzione potrebbe essere quella promuovere incentivi legislativi, sia a livello comunitario sia nazionale, ragionevoli e sensati, per la produzione di nuovi farmaci. Incentivi che tengano conto dei sistemi di prescrizione, distribuzione e rimborso esistenti nei singoli Paesi, in modo che l’approvazione di un nuovo farmaco sia davvero uno strumento utile al paziente, e non un qualcosa che rischia di essere fine a sé stesso.
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