Tutto comincia con la richiesta di aiuto a OMaR: da lì in poi entra in campo uno straordinario network che coinvolge Associazione Kim, Ospedale Bambino Gesù e Ocularistica Italiana
C’è un sottile filo rosso che collega le vite di Paolo Modugno, elettricista su un sommergibile della Marina Militare italiana durante la Prima Guerra Mondiale, e di Mouhamed, un bambino senegalese di poco meno di un anno di vita, affetto da una rara sindrome malformativa dell’occhio che lo ha privato fin dalla nascita dei globi oculari. Pur nati a oltre cento anni di distanza e in Paesi diversi, hanno qualcosa in comune: il piccolo Mouhamed difficilmente avrebbe avuto accesso a cure e assistenza se l’unità dove Paolo era imbarcato non fosse stata silurata e lui stesso non fosse caduto in mano al nemico. Potrebbe sembrare una storia segnata dal cosiddetto “effetto farfalla”, per il quale un minuscolo battito d’ali in un emisfero scatena una sequenza di eventi che innescano fenomeni di proporzione sempre più ampia nell’altro emisfero. In effetti, se si mettono insieme tutti i protagonisti di questa vicenda è proprio così che è andata.
UNA LETTERA PER CHIEDERE AIUTO
Tutto ha avuto inizio con una lettera che il padre di Mouhamed, da anni residente a Milano, dove lavora, ha inviato a Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice di OMaR-Osservatorio Malattie Rare, nel luglio scorso, pochi giorni dopo la nascita del figlio. “Giovedì ho avuto una notizia molto dura – c’era scritto nella e-mail – il mio bambino è nato con una malattia rara che si chiama ‘anoftalmia bilaterale’ e in Senegal non possono fare nulla. Ha bisogno di mettere le protesi il prima possibile e deve fare controlli per verificare che non ci siano altre malformazioni, ma in Africa non è possibile e vorrei portalo al più presto in un ospedale italiano”. Poche righe, un grido di aiuto, e allegata la foto di un bimbo in fasce, un bimbo che lui non ha ancora abbracciato. “Non sapevo cosa fare – racconta Ilaria Ciancaleoni Bartoli – ma una cosa era chiara, bisognava almeno provare. Ho contattato il dott. Andrea Bartuli, responsabile dell’Ambulatorio malattie rare dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, la cui risposta è stata immediata ed efficiente”.
“Da molti anni, al Bambino Gesù abbiamo dedicato, in collaborazione con la UOC di Oculistica, un percorso ai bambini con patologie oculari rare come l’anoftalmia, la microftalmia e il coloboma”, spiega infatti il dott. Andrea Bartuli. “Come la maggior parte delle malattie rare, sono condizioni che richiedono una stretta collaborazione tra specialisti diversi per costruire una rete di competenze tra loro integrate tali da garantire, ai bambini, le migliori risorse diagnostiche e assistenziali e, ai genitori, un accesso facilitato alle cure. Il gruppo si avvale anche di competenze esterne, come quelle offerte dalla Dott.sa Modugno, una vera artista delle protesi oculari. Accogliere Mouhamed, straniero e sprovvisto di assistenza sanitaria, ha poi richiesto anche l’aiuto e il sostegno di tante altre persone. Innanzitutto, nel giro di pochi giorni è stata attivata l’Assistenza Internazionale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, grazie a cui il bambino, una volta giunto a Roma, ha potuto effettuare gli accertamenti del caso e ricevere tutte le cure che la sua famiglia era impossibilitata a sostenere. In seguito, sono stati coinvolti anche altri esperti, ognuno dei quali si è mostrato competente, efficiente e mosso dalla ferma volontà di aiutare questo neonato”.
È stato così, per una catena di e-mail e messaggi e tanta volontà, che la pesante ruota degli eventi si è messa in moto. Determinante è stata l’entrata in scena della dottoressa Alessandra Modugno, oculista e direttore di Ocularistica Italiana, un centro specializzato nella produzione di protesi oculari destinate a bambini affetti da malformazioni congenite degli occhi come l’anoftalmia o la microftalmia. A sua volta, la dottoressa Modugno ha preso contatto con l’Associazione KIM allo scopo di accogliere il bambino e sua madre per tutto il periodo necessario a svolgere le visite di approfondimento presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Modugno: questo nome vi dice qualcosa?
OSPITALITÀ COME PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ
“La nostra collaborazione con la dottoressa Modugno ha avuto inizio diversi anni fa e anche nel caso di Mouhamed ci siamo resi disponibili a offrire supporto in forma totalmente gratuita”, afferma Corrado Roda, Coordinatore del Centro di Accoglienza KIM. “L’Associazione KIM, infatti, è nata 26 anni fa dalla volontà di dare ristoro e accoglienza a bambini gravemente malati che versino in condizioni di indigenza e abbiano bisogno di essere sottoposti a cure mediche in Italia”. Fin dal principio, i volontari - che oggi sono circa una sessantina - si sono spesi per fare di questa un’occasione di condivisione, nel tentativo di rendere il più sereno possibile un momento come quello della presa in carico, nel quale la malattia è spesso protagonista. “I nostri volontari allestiscono eventi di animazione per i bambini, oppure offrono alle mamme la possibilità di imparare una mestiere grazie ai laboratori creativi di ceramica e di cucito”, prosegue Roda. “Inoltre, all’interno delle strutture dell’Associazione siamo in grado di offrire un percorso di apprendimento della lingua italiana alle mamme e ai loro bambini, grazie alla collaborazione con gli Istituti del Municipio; siamo dotati di un servizio di pediatria interna e, grazie all’aiuto di alcuni medici di base, possiamo rispondere alle necessità delle mamme che ne abbiano bisogno. Ai nostri ospiti forniamo anche assistenza su questioni legali inerenti alle procedure d’ingresso in Italia e alla permanenza del nucleo famigliare sul territorio italiano per tutto il periodo necessario alle cure. Infine, garantiamo un servizio di accompagnamento presso gli ospedali per le visite mediche a cui devono sottoporsi”.
Per merito della costanza e dell’impegno dei volontari italiani, il desiderio di un padre di donare una qualità di vita migliore al figlio ha permesso a Mouhamed di superare tante difficoltà, tra cui le lentezze burocratiche del suo Paese, e di giungere in Italia per essere visitato all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: qui è stato sottoposto a una risonanza magnetica all’encefalo e alle orbite e ad una lunga serie di esami per un’approfondita verifica del suo stato di salute presso il reparto di malattie rare. Non è stata una parentesi facile, dal momento che la madre di Mouhamed parla solamente il Wolof, un dialetto dell’Africa Occidentale; tuttavia, grazie alla collaborazione con un’altra mamma residente presso i locali dell’Associazione KIM, e all’intermediazione del personale del polo ospedaliero romano, è stato possibile procedere e, una volta completato il programma degli accertamenti, è cominciato il trattamento protesico.
“Per anoftalmia intendiamo una patologia che determina la completa mancanza di formazione e accrescimento delle vescicole ottiche, o una loro degenerazione”, spiega la dottoressa Modugno. “Nel corso della vita uterina i bulbi oculari rappresentano una vera e propria estroflessione del cervello, ed è per questo che non si può effettuare un trapianto dell’occhio; si eseguono solamente trapianti di cornea perché questo è un tessuto avascolare che si è differenziato nel corso della crescita, ma la mancanza dei bulbi oculari non può essere sopperita se non dalle protesi”.
DAI SOMMERGIBILI ALLE PROTESI OCULARI: OLTRE UN SECOLO DI ATTIVITÀ
È a questo punto che la storia di Mouhamed si collega a quella di Paolo Modugno, il nonno della dottoressa che ha applicato le protesi al bambino. Infatti, dopo essere miracolosamente sopravvissuto all’affondamento del suo sommergibile durante la Prima Guerra Mondiale, Paolo è stato catturato e richiuso nel campo di prigionia di Mauthausen, da cui ha fatto ritorno solamente mesi più tardi. Gravemente ferito, una volta rientrato in Italia, ha iniziato a lavorare per l’Opera Nazionale Invalidi di Guerra, presso cui ha compreso l’enorme necessità di protesi per i reduci. “Nel vedere tanta sofferenza decise di apprendere l’arte della fabbricazione delle protesi”, si legge nella storia che la nipote ha pubblicato sul sito di Ocularistica Italiana. Nel 1920, al termine di un periodo di apprendistato svolto in Germania insieme a un amico, Paolo cominciò la sua avventura con la fondazione dell’Istituto Ocularistico Paolo Modugno, in seguito gestito da figlio e nuora e, infine, dalla nipote.
Attualmente, Ocularistica Italiana è un centro di riferimento sul territorio nazionale per la produzione di protesi oculari in resina, come quelle che sono state applicate al piccolo Mouhamed. “Siamo una struttura convenzionata con le ASL di tutta Italia e riceviamo moltissimi pazienti bisognosi dell’applicazione di protesi oculari”, spiega Modugno. “Le nostre esperte oculiste lavorano fianco a fianco alle protesiste e seguono i pazienti nel loro percorso di riabilitazione estetica. Una delle peculiarità del nostro centro è che tutto il personale - dalle segretarie alle oculiste - è composto da donne, perché abbiamo compreso come le mamme dei bambini che trattiamo cerchino il conforto di una figura femminile, rassicurante e comprensiva”.
Infatti, molti dei piccoli pazienti giunti all’attenzione della dottoressa Modugno e delle sue collaboratrici provengono da teatri di guerra o sono stati vittime di orribili atti di deturpazione del volto; le protesi oculari, realizzate con la tecnica della presa di impronta, si adattano perfettamente al volto del paziente, garantendo così un’elevatissima qualità.
UNA NUOVA VITA PER MOUHAMED
“A Mouhamed sono state applicate delle protesi di grandezza crescente per espandere gradualmente la cavità dove non c’è l’occhio”, prosegue Modugno. “Al termine di questa prima fase, insieme alla mamma, è potuto tornare a Milano per ricongiungersi col papà che lo aspettava, e che tanto si è dato da fare perché il figlio ricevesse le cure”. Ovviamente Mouhamed non recupererà mai la vista e dovrà proseguire nel percorso di riabilitazione, aggiungendo anche un programma di psicomotricità; ciononostante, oggi la sua situazione è molto migliorata. “Pur attraverso le protesi, alcune persone riescono a far comprendere il loro umore con uno sguardo, segno che tali dispositivi hanno raggiunto una qualità estetica elevatissima”, conclude la dottoressa Modugno. “Abbiamo fatto di tutto perché Mouhamed ricevesse le sue protesi e, una volta che la procedura di ricongiungimento familiare sarà completata, potrà continuare a riceverle tramite il Servizio Sanitario Nazionale”.
“Abbiamo seguito l’evolversi di questa storia giorno dopo giorno, per quasi un anno. Abbiamo visto le foto di Mouhamed che con il passare del tempo cresceva. Ci siamo scontrati con le difficoltà per i visti e i documenti e abbiamo pianto al suo arrivo a Roma”, commenta Ilaria Ciancaleoni Bartoli. “Siamo felicissimi per la nuova vita che avrà Mouhamed e grati a questo affiatato network di realtà differenti che hanno collaborato fino ad arrivare a questo risultato. Per noi è un risultato che simboleggia perfettamente ciò che è OMaR, una testata giornalistica che in 13 anni ha saputo non solo informare ma creare una rete solida e solidale, con i clinici e con il mondo associativo. Era facile girarsi dall’altra parte e dire ‘non possiamo far nulla’, ma la rassegnazione e l’indifferenza non trovano spazio nella nostra mission. Ci auguriamo che quanto fatto possa essere di aiuto anche ad altri: è esattamente questo il battito d’ali in grado di scatenare una vera tempesta”.
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