Questa patologia enzimatica interessa più di 400 milioni di persone nel mondo

La glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) è un enzima ubiquitario che, contribuendo alla produzione di NADPH, svolge un’importante funzione antiossidante nei globuli rossi. La carenza di questo enzima interessa più di 400 milioni di persone nel mondo costituendosi come uno dei più comuni difetti enzimatici con ampia diffusione specialmente nell’area mediterranea, nell’Africa sub-sahariana e tra le popolazioni ispaniche e africane delle Americhe. Il deficit di G6PD è una malattia genetica a trasmissione recessiva legata al cromosoma X perciò si presenta in maniera grave nei maschi emizigoti e nelle femmine omozigoti, mentre nelle femmine eterozigoti può avere conseguenze più moderate.

Generalmente, la manifestazione clinica più pericolosa è legata all’anemia emolitica acuta, che può insorgere anche in seguito all’assunzione di fave - tanto che la carenza di G6PD in questo caso prende il nome di favismo – ma anche i soggetti che non presentino sintomi evidenti possono sviluppare ittero neonatale e iperbilirubinemia.

La mutazione che provoca il deficit di G6PD è facilmente individuabile attraverso analisi molecolari e questo porta l’attenzione sulla necessità di ricorrere ad un sistema diagnostico che identifichi la mutazione anche nei familiari. In una recente pubblicazione su Clinical Pediatrics, Janine Bernardo e Mary Nock ricordano che lo screening per la carenza di G6PD tra i neonati fornisce un valido aiuto nell’identificazione dei bambini ad aumentato rischio di sviluppare iperbilirubinemia.

Le autrici fanno notare che negli Stati Uniti non c’è un consenso unanime sul ricorso allo screening neonatale per la carenza di G6PD, nonostante la raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisca di applicare tale procedura tra le popolazioni dove la percentuale di maschi affetti varia dal 3 al 5%.

A partire dal 2007 le ricercatrici hanno messo a punto un programma di screening neonatale presso il MacDonald Women’s Hospital di Cleveland e, in questo studio, ne hanno valutato l’impatto globale attraverso la formulazione di un questionario rivolto a pediatri, medici di base ed infermieri che si sono presi cura di soggetti sia in regime di ricovero ospedaliero che ambulatoriale.

I risultati del questionario somministrato via e-mail sono stati raccolti ed analizzati utilizzando un software specifico ed hanno evidenziato che l’80% di tutti coloro che hanno risposto ha avuto in carico pazienti con deficit di G6PD. Inoltre, la grande maggioranza di coloro che hanno visitato i pazienti sia in ospedale che in ambulatorio ritengono che una diagnosi precoce della carenza di G6PD sia di grande supporto nella gestione del paziente, con particolare riferimento alla possibilità di effettuare consulenze ospedaliere sui fattori di rischio come l’itterizia ed alla gestione dei follow-up dei neonati con iperbilirubinemia.

Inoltre, un vantaggio offerto dai programmi di screening consiste nella divulgazione di informazioni per prevenire le crisi emolitiche, spiegando ai pazienti quali possono essere i più comuni fattori scatenanti.
I modelli di screening neonatale come quello messo in atto presso il MacDonald Women’s Hospital di Cleveland rappresentano uno strumento d’indagine efficace, veloce e di costo contenuto ed hanno il pregio di identificare una categoria di individui a rischio, favorendo una miglior distribuzione delle cure e supportando in maniera più accurata i familiari dei pazienti.

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