USA - Quando si consulta un libro di medicina – o un sito internet specialistico – alla ricerca di informazioni sul trattamento di una malattia, l'unica frase che non si vorrebbe trovare è “non esiste una terapia specifica.” Purtroppo, invece, questo è ciò in cui incorrono i soggetti colpiti dalla malattia di Leigh, una malattia che intacca il sistema nervoso e gli organi di senso. Con un'incidenza stimata di circa 1:30.000, la malattia di Leigh è considerata un'encefalopatia rarissima che esordisce in epoca infantile ed è delineata da segni clinici caratteristici dal punto di vista neuropatologico. Coloro che risultano affetti da questa patologia devono fare i conti con lesioni che, a partire dal tronco encefalico e fino al midollo spinale, sono localizzate in più aree del sistema nervoso producendo sintomi, quali perdita delle funzione motoria, ipotonia, nistagmo, oftalmoplegia e ritardo mentale.

La malattia di Leigh è causata da mutazioni puntiformi del DNA mitocondriale che generano difetti a livello della fosforilazione ossidativa. Il ricorso alle indagini neuroradiologiche è cruciale per formulare una diagnosi di malattia: il riscontro di lesioni alla RMN cerebrale, unito all'analisi del DNA mitocondriale e allo studio della catena respiratoria su fibroblasti, fornisce informazioni diagnostiche decisive. Tuttavia, la malattia di Leigh si distingue per la vasta eterogeneità genetica e per le limitate correlazioni fenotipo-genotipo: il repertorio di mutazioni coinvolte nella genesi della malattia è molto ampio e comprende sia geni nucleari (legati al deficit di piruvato-deidrogenasi) che geni mitocondriali, ma esiste anche un sottogruppo di pazienti nei quali le cause della malattia sono riconducibili ad errori congeniti del metabolismo che devono essere attentamente valutati in fase diagnostica dal momento che con una dieta mirata si potrebbero ottenere successi insperati: infatti, non bisogna dimenticare che gli amminoacidi essenziali come valina, leucina e isoleucina vengono metabolizzati a livello dei mitocondri e servono da substrati per la produzione di energia e la sintesi di lipidi. Ciononostante, l'efficacia di una dieta chetogenica in alcuni pazienti con malattia di Leigh è strettamente correlata al tipo di aberrazione genetica prodottasi a monte della malattia.

Come ribadito in un recente lavoro pubblicato su Pediatric Neurology dalla dott.ssa Soler-Alfonso della Divisione di Genetica Medica dell'Università del Texas, il vantaggio derivato dall'utilizzo delle nuove tecniche di sequenziamento dell'esoma è di poter individuare in maniera specifica i geni responsabili di questa encefalopatia mitocondriale per poi procedere con la giusta condotta terapeutica di supporto.

Una giovane paziente con malattia di Leigh scatenata da una mutazione di HIBCH – un gene coinvolto nel catabolismo della valina – e trattata con una dieta priva di valina ha ottenuto consistenti miglioramenti sul piano neurologico e il suo caso è stato riportato dal team della dott.ssa Soler-Alfonso come un esempio dei benefici ottenibili dal riconoscimento degli errori congeniti del metabolismo nel trattamento della malattia di Leigh.

Alla nascita la paziente non presentava anomalie fenotipiche evidenti ma, all'età di tre mesi, aveva già sviluppato ipotonia, difficoltà nella nutrizione e ritardo mentale. A circa un anno la piccola paziente è stata ricoverata per problemi respiratori e, successivamente, le sue condizioni si sono aggravate e il ritardo mentale si è fatto più serio (la bambina non era neppure in grado di piangere o comunicare). Ipotonia e nistagmo erano evidenti e anche il tono muscolare era compromesso. A 4 anni la bambina è stata sottoposta ad un preciso regime dietetico che ha escluso l'amminoacido valina, pur continuando con un alto introito di carboidrati e con la supplementazione di carnitina.

I pazienti con difetti nel catabolismo della valina sono molto rari e, in questo caso, l'identificazione di una mutazione specificamente legata a tale aspetto si è rivelata fondamentale per la somministrazione di una dieta personalizzata ed utile a ridurre i sintomi della malattia. Nella dieta consigliata la paziente ha continuato ad assumere isoleucina e leucina e i miglioramenti della sintomatologia sono stati lampanti: il recupero del tono muscolare ha permesso alla bambina di ritrovare una posizione eretta stabile, il nistagmo è diminuito, la ptosi bilaterale si è risolta e le capacità di comunicazione hanno fatto registrare notevoli progressi. La bambina ha ritrovato energia e capacità di interazione e dopo la risonanza magnetica si è potuta registrare una forte evoluzione positiva delle lesioni neurologiche.

Questo report clinico mette in luce la necessità di risalire all'eziologia genetica della malattia per individuare una sottopopolazione di pazienti con errori congeniti del metabolismo trattabili con una dieta specifica che potrebbe avere effetti decisamente positivi sull'andamento della malattia.

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